Comune di Milano ( sec. XII - )
Tipologia: Ente
Tipologia ente: Ente pubblico territoriale
Condizione: pubblico
Sede: Milano
Codici identificativi
- MIDB001030 (PLAIN) [Verificato il 22/10/2013]
Profilo storico / Biografia
La complessa vicenda storica dell’Amministrazione comunale di Milano dall’Unità d’Italia ha preso forma attorno a temi come l’urbanistica, il decentramento amministrativo, i trasporti, la valorizzazione delle risorse ambientali, la politica di contenimento dei prezzi a difesa delle classi popolari e meno agiate, affrontati a partire dalla seconda metà dell’Ottocento e per tutto il Novecento.
Una condizione con la quale il Comune si misura ancora oggi, con la sua azione derivata dal mandato espresso democraticamente dai cittadini, su tematiche già presenti nella dialettica politica post-risorgimentale, pur nella differente condizione storica e sociale.
Una dimensione di storia civile non meno illuminante di quella nella quale oggi è prevalentemente riconosciuta la città e la sua immagine, per ciò che rappresenta e per ciò che in essa si vuole abitualmente rappresentare.
Un ruolo di primo piano ha avuto nel Paese la quotidiana vicenda amministrativa a partire dall’Unità, non soltanto della città di Milano, di quelle vicende protagonista di rilievo con i moti delle cinque giornate e del 1898, con l’espansione dell’attività industriale e la crescita economica, l’affermazione del ruolo di “capitale morale”, l’apertura della città all’Europa, con quello che significa in termini di scambi commerciali, culturali, sociali.
All’inizio del periodo preso in considerazione, dall’Unità ad oggi, la caratterizzazione funzionale dei sobborghi extra moenia reggeva ancora alla crescente pressione demografica derivato dal processo di industrializzazione dell’area urbana. La Milano del 1861 era una città equilibrata nelle sue diverse componenti strutturali, con la marcata tendenza dei sobborghi a congiungersi con la città e di questa ad allargarsi all’intorno, occupando ogni spazio agricolo tra i diversi aggregati.
Liberata la Lombardia dagli Austriaci, nel 1859, il Municipio deliberava la permuta con lo Stato del Broletto Novissimo e e di Palazzo Marino. Il 19 settembre 1861 Palazzo Marino diventava sede effettiva del Comune.
L’acquisto della storica dimora coincise con la demolizione dell’isolato posto tra il palazzo e il teatro alla Scala e l’apertura della nuova piazza. Su questa si affacciavano vecchi edifici sbrecciati con un’antica torre centrale. Un prospetto non degno di rappresentare la nuova Amministrazione Comunale che si misurava anche con gl ambienti interni, molto malandati, a cominciare dal grande Salone d’Onore. Ad un primo restauro ne seguì un secondo alla fine dell’ultima guerra per risanare le demolizioni dei bombardamenti del 1943.
Al volgere dell’Unità, la classe politica milanese costituiva un gruppo abbastanza omogeneo che consentiva di superare le radicali trasformazioni della vita politica nazionale, come il passaggio dall’amministrazione asburgica a quella sabauda, senza subire profondi sconvolgimenti.
La maggioranza moderata si sentiva erede delle lotte risorgimentali e ciò faceva da denominatore a molte deliberazioni. Nei primi anni di vita del Consiglio comunale non esisteva al suo interno una opposizione organizzata, ma solo voci isolate che si levano “a protestare”.
La guerra del 1866 trovò il Consiglio comunale unanime nella lotta contro l’Austria; per far fronte alle necessità belliche, l’Amministrazione decise di sospendere le opere pubbliche meno importanti. Dopo la conquista di Roma, con la Breccia di Porta Pia (20 settembre 1870), le posizioni anticlericali dell’opposizione progressista non furono più appoggiate dalla parte moderata dello schieramento politico.
Con le dimissioni nel luglio del 1867 della Giunta Beretta (la situazione amministrativa del Comune era pesante, con un disavanzo di 30 milioni di lire), il Sindaco ricordò che, tra le altre opere realizzate dall’Amministrazione, vi era l’introduzione del codice igienico edilizio. Durante la successiva amministrazione Belinzaghi la possibilità di ampliare il bilancio comunale fu affidata essenzialmente al dazio sui consumi, principale fonte delle entrate a sostegno delle rilevanti spese comunali, orientate prevalentemente ai lavori pubblici e all’istruzione.
Col modificarsi degli equilibri politici in campo nazionale, che vedranno nel 1876 salire al potere la Sinistra, aumentò in maniera sensibile la pattuglia democratica e progressista all’interno del Consiglio comunale della città.
A partire dal 1873 furono aggregati a Milano i comuni limitrofi con l’annessione dei cosiddetti Corpi Santi, costituiti nel 1781; all’aggregazione della parte forese si giunse per ragioni di ordine amministrativo e finanziario, con conseguenze anche politiche. Tale iniziativa, portata avanti dal 1862, era motivata dalla necessità di estendere il territorio comunale ai sobborghi, i cui abitanti pur godendo dei servizi della città di Milano alla stessa non versavano alcuna tassa. All’interno degli stessi Corpi Santi, peraltro, si erano create condizioni favorevoli all’annessione, con le frazioni rurali che ambivano a separarsi dai sobborghi cittadini, “i cui interessi contrastano con quelli della campagna”.
Fuori della cinta daziaria si trovavano la stazione centrale, la stazione sulla linea ferroviaria per Vigevano, il cimitero, il gasometro. Il problema aveva pesanti risvolti anche urbanistici, giacché la divisione amministrativa favoriva il disordinato sviluppo edilizio, non essendo sottoposto il territorio dei Corpi Santi al controllo della Commissione d’ornato.
Nel corso degli anni Ottanta del XIX secolo la situazione finanziaria del Comune era gravata da un pesante disavanzo, al quale la Giunta cercò di far fronte con lo strumento della pressione fiscale, rifiutando in linea di principio qualsiasi politica di austerità.
Nel 1884 la Giunta Belinzaghi cadde sul problema del piano regolatore e ad essa subentrò il sindaco Negri. Il settore dei lavori pubblici assorbiva la maggior parte delle spese di bilancio, convogliate prevalentemente nella sistemazione del centro cittadino, mentre l’espansione della periferia era lasciata all’iniziativa privata.
Fra le principali materie d’esame la sistemazione della piazza del Duomo, opera di somma importanza per dare l’impronta al centro cittadino, con la necessaria ampiezza tale da consentire lo sbocco di più vie e un perimetro in grado di ospitare fabbriche “grandiose e isolate”.
Milano era soggetta ad una rapida espansione edilizia, con conseguenti problemi legati alla speculazione privata, all’ampliamento delle strade con i necessari arretramenti, alle espropriazioni. Risultava evidente il conflitto tra l’autorità comunale e l’iniziativa privata, col problema emergente di dare una regolamentazione allo sviluppo della città e dello studio di un piano regolatore.
Nel 1876 fu approvato un regolamento edilizio che sostituiva la Commissione d’ornato del 1806 e il regolamento di abitabilità del 1834. Si trattò di un primo tentativo di porre freno alla speculazione, con la commissione edilizia che aveva facoltà di ammettere o respingere i progetti, richiedendo modifiche “giuste le esigenze dell’arte, della sicurezza e del decoro, tenuto conto della località e dell’uso cui l’edificio è destinato”.
Il progetto di un piano regolatore (piano Beruto) fu presentato nel 1886, in funzione di una città per circa 500.000 abitanti e con uno sviluppo prevalente verso il settore nord-ovest.
Tra il 1888 e il 1889 il Consiglio comunale autorizzò un impianto provvisorio per l’acqua potabile, in attesa di un più generale piano per l’acquedotto, e avviando i lavori della nuova fognatura.
Ottenuta la sanzione governativa per il piano regolatore si procedette per attuare le relative opere, tra le quali la sistemazione della via del Sempione, della via Broletto, della Porta Monforte, dei quartieri di Porta Venezia e di Porta Magenta.
Deliberata la costruzione della nuova sede per il Museo di storia naturale, proseguirono i lavori per la costruzione dell’ospedale dei contagiosi, del cimitero di Musocco, del portico del cimitero monumentale.
Rispetto all’esecuzione del piano regolatore, oltre all’acquisto delle aree per il tracciamento di nuove vie o l’ampliamento delle esistenti si annoveravano le prime consistenti coperture dei corsi d’acqua in città; il Naviglio di San Gerolamo, il cavo Borgognone e la roggia Gerenziana lungo il corso XXII Marzo, il Cavo Redefossi tra piazza Monforte e piazza Vittoria, oltre alla ricostruzione di un tratto della tomba di Sant’Eustorgio e alla deviazione del fontanile di San Vincenzo nella nuova via Carroccio.
La realizzazione della nuova fognatura procedeva di pari passo a consistenti opere di canalizzazione e di copertura.
In materia sociale si compivano progressi riguardo all’educazione politica e civile; Milano era una gran città che doveva impegnare le proprie risorse nell’incremento della cultura superiore e dell’istruzione professionale. Si propose di sviluppare l’attività soprattutto a carattere scientifico-sociale, colmando la lacuna della mancanza di un’università.
Nei primi anni del Novecento la città retta dalla Giunta Ponti affrontò il tema della casa popolare, uno dei maggiori problemi della città. Risultavano in quegli anni irregolari non meno del 15% delle abitazioni disponibili: soffitte, sotterranei, pianterreni e mezzanini.
La situazione richiedeva un’azione rapida ed incisiva da parte dell’Amministrazione pubblica; il programma prevedeva la riforma del piano regolatore in modo da demolire gli isolati di case fatiscenti e liberare le aree alla nuova e salubri costruzioni, l’acquisizione di nuove aree per l’edificazione di case popolari, l’espropriazione delle aree più degradate e il controllo sull’attività edilizia, con l’applicazione di norme e regolamenti orientati a contrastare speculazioni.
Nel 1908 la Giunta municipale propose la fondazione dell’Istituto autonomo delle case popolari ed economiche. Il nuovo istituto non mirava a soverchiare l’iniziativa privata, “ma a regolarla col calmiere automatico di una limitata concorrenza e con bella esemplarità”. Fin dall’inizio però il nuovo istituto si mostrò largamente inadeguato al reale fabbisogno di case popolari, stimato intorno a 30.000 stanze cui il Comune poneva argine con 4.000 stanze costruite ed altrettante da costruire.
La vasta attività svolta dall’Amministrazione esigeva nuovi oneri, imposti alla popolazione. L’incremento delle spese di bilancio e delle conseguenti nuove imposte determinarono una crisi, peraltro di breve durata, con le dimissioni del sindaco Ponti, cui contribuì anche la grande esposizione internazionale del 1906 che, assieme alla vasta eco ed ammirazione portò a Milano ed ai suoi cittadini oneri e aggravi di spese. Dopo oltre sei mesi di attività, il 12 novembre l’esposizione chiuse i battenti, con il consenso generale per lo straordinario esito dell’iniziativa milanese, che apriva nuovi orizzonti di prosperità e ricchezza per il Comune e la Nazione.
Il momento di espansione del settore edilizio seguente all’esposizione internazionale durò sino al 1910, con la costruzione annua di locali eccedente la domanda; il successivo rallentamento divenne sensibile già nel 1913, riflesso del disagio economico della popolazione. Anche l’Istituto autonomo di Milano per le case popolari si trovava in grave difficoltà, prefigurando le condizioni che, nel primo dopoguerra, determineranno la grave carenza di abitazioni.
Lo sviluppo della città, anche dipendente dall’aggregazione dei Comuni limitrofi, e l’incremento delle funzioni e dei servizi municipali, rese più urgente la soluzione ai problemi della sede degli uffici comunali. La divisione esistente in otto sedi diverse non permetteva in alcun modo una razionale organizzazione del lavoro, ma neanche garantiva un efficace decentramento dei servizi. Nel 1913 una commissione allo scopo istituita scartò le soluzioni estreme: l’accentramento di tutti i servizi in un unico edificio centrale e il decentramento di tante piccole unità di servizio in ogni quartiere, lasciando in centro città solo gli uffici di segreteria e presidenza.
Tra i vari progetti elaborati sembrava più opportuna la scelta di destinare Palazzo Marino a sede di rappresentanza, e di costruire nella zona centrale (area di piazza San Fedele, via Santa Redegonda, via Verri) della città un nuovo edificio destinato a tutti gli uffici, con l’esclusione dell’ufficio di igiene e delle aziende municipalizzate.
Con la cessione di Palazzo Reale allo Stato da parte della Corona riprese considerazione l’ipotesi di trasferire tutti gli uffici nella prestigiosa dimora, riservando gli ambienti d’onore alle raccolte d’arte e prevedendo di demolire circa 9.000 mq sulle aree adiacenti per costruire un nuovo edificio da destinare ad uffici. Ottenuta la proprietà di Palazzo Reale, il Comune approfondì gli studi per il trasferimento; con il Governo centrale fu ratificata in linea di massima anche la permuta di Palazzo della Ragione con un altro edificio da costruire (in via Carducci) e destinare all’Archivio notarile.
Un nuovo regolamento interno del Comune fu istituito per disciplinare funzioni e rapporti del personale, stabilendone il trattamento economico e i termini di carriera. Il nuovo regolamento abbracciava tutte le categorie professionali dei dipendenti comunali, compresa quella degli operai stabili. Erano stabiliti con precisione sia la composizione degli organi del Comune, sia le funzioni dei singoli uffici in una complessa struttura gerarchica, disciplinandone i rapporti per impedire conflitti di competenza. Particolare rilievo era attribuito ai capi dell’Ufficio tecnico, dell’Ufficio medico e della Ragioneria.
Una nuova sistemazione degli uffici centrali del Comune avrebbe permesso la riorganizzazione dei servizi che, nel programma della Giunta socialista di Emilio Caldara (1914-1920), si sarebbe realizzata con un razionale decentramento. Accanto alla creazione di un ufficio per ogni quartiere della città, era prevista la delega del Sindaco ad un Vice Sindaco delle funzioni anche di Ufficiale del Governo.
Le vicende politiche del dopo guerra non permisero, però, all’Amministrazione socialista del sindaco Caldara di dar corso alla riorganizzazione della sede amministrativa della città, come del resto, di altri progetti.
Lo sviluppo della città rese necessaria l’aggregazione dei Comuni confinanti, superando il criterio degli espropri parziali di territorio. Nel 1917 la Giunta municipale propose l’annessione di Turro e avviò lo studio per l’aggregazione di Greco Milanese, Musocco, Affori, Niguarda, Crescenzago e Lambrate.
Rientravano nelle ipotesi allo studio il progetto del porto fluviale e del canale navigabile Milano-Cremona-Po, rimasto sulla carta, e l’annessione dei territori comunali di Chiaravalle, San Donato Milanese e Linate.
La costruzione della colossale opera idraulica fu demandata all’Azienda portuale costituita, nella quale l’Amministrazione di Milano deteneva la maggioranza. I lavori sono avviati nel 1919, mentre l’Ufficio tecnico del Comune elaborava progetti per il collegamento del nuovo porto di Milano con il lago di Como, il Ticino e il lago Maggiore, ripercorrendo dopo secoli l’ipotesi vinciana.
A partire dal 1912 l’amministrazione comunale avviò studi per la costruzione di una linea di metropolitana; una commissione allo scopo costituita affidò all’Ufficio tecnico l’elaborazione di un progetto, portato a compimento nel 1921, che prevedeva due linee perimetrali, alcune trasversali ed una linea di raccordo con il porto fluviale.
Parallelamente si procedette al riordino della rete ferroviaria gravitante sulla città: nuovo anello, nuova stazione centrale, nuove stazioni secondarie di Porta Vittoria e San Cristoforo, ampliamento dello scalo Farini. In quegli anni il Comune cooperava con l’Amministrazione di Bergamo per la costruzione di una linea direttissima tra le due città. Il progetto elaborato dagli uffici comunali fu accantonato mentre nel 1927 si inaugurava l’autostrada Milano-Bergamo.
Con la Giunta di Luigi Mangiagalli (1922-1926) l’Amministrazione ereditò un passivo rilevante che obbligava ad una politica di restrizione e contenimento delle spese. Per farvi fronte si procedette alla riorganizzazione degli uffici, con un piano generale di riordino dei servizi, dai trasporti pubblici all’acqua potabile, dall’illuminazione elettrica (che sostituiva ormai completamente quella a gas) alla manutenzione delle strade. Nei primi anni dell’Amministrazione fascista fu completata l’aggregazione dei comuni limitrofi, coinvolgendo Baggio, Affori, Chiaravalle, Crescenzago, Gorla, Precotto, Greco Milanese, Lambrate, Musocco, Niguarda, Trenno, Vigentino. Un piano straordinario di opere pubbliche, estese anche ai territori annessi, fu reso possibile dal prestito americano di 30 milioni di dollari.
Nel decennio, il bilancio dell’amministrazione passò dai 371 milioni di passivo ai 77 milioni di attivo nel 1931.
La questione del piano regolatore come strumento di indirizzo per la sistemazione e lo sviluppo della città poneva problemi ingenti che investivano ogni aspetto della dimensione urbana, dalla popolazione insediata alle abitazioni, dalle attività alle reti dei servizi, dalla viabilità ai trasporti, dal tessuto edificato alle piazze, ai giardini pubblici.
Col bando di concorso del 1926 per il nuovo piano regolatore, l’Amministrazione comunale indicava gli intenti e le direttive dello strumento, divenuto operativo con legge nel 1934 (Piano Albertini).
La costruzione della metropolitana era frattanto divenuta inderogabile e nel 1931 era strutturata l’Azienda dei trasporti milanesi.
Nell’assetto della città moderna si percepiva l’importanza della dotazione di giardini pubblici, che nelle intenzioni non doveva essere subordinata all’edilizia e, secondo le lungimiranti considerazioni del Podestà, i giardini non costituivano “una concessione all’estetica ma altresì una necessità igienica, perché essi rappresentano i polmoni della città, un ristoro ai cittadini affaccendati, un beneficio che tempera gli effetti dannosi del crescere del movimento cittadino e dell’intensificazione della fabbricazione, un posto di convegno a tutti coloro che fra il verde e il fiore vogliono trovare un’ora di svago all’aperto in [un] centro salubre”.
La stasi subentrata durante la guerra risultava accresciuta dalle difficoltà della ripresa del dopoguerra, tanto che per dar soluzione al problema della casa per i ceti meno abbienti intervenne il Governo centrale per porre vincoli al commercio delle abitazioni. A fronte della realizzazione di case per senza tetto, restavano grandi le carenze e gravi i problemi, tanto che fu disposto il ricorso alle proprietà comunali, con il temporaneo adattamento anche della Villa Litta Modignani di Affori per accogliere intere famiglie di senza tetto, o del fabbricato dell’ex Senavra, in corso XXII Marzo, capace di ospitare un gran numero di persone. Parallelamente si seguì la progettazione per la municipalità di alcune case albergo.
La seconda guerra lasciò profondi ferite nella città: fra i compiti assolti dalla municipalità, lo sgombero delle macerie, la ricostruzione e il ripristino di strade e edifici pubblici, il ripristino dei servizi di illuminazione, riscaldamento, acqua ed elettricità, le fognature, i trasporti pubblici.
La prima amministrazione post-bellica del 7 aprile 1946, con il sindaco socialista Antonio Greppi, si misurò con l’immane opera, in equilibrio precario tra socialisti, democristiani e comunisti.
Anche la successiva amministrazione del socialdemocratico Virgilio Ferrari, costituita nel maggio 1951, orientò l’azione “verso la realizzazione di una sempre migliore attività assistenziale in campo sociale; verso un potenziamento di tutte le attività che al Comune incombono per legge o per libera elezione, nel campo della pubblica istruzione, dell’educazione, dell’arte; verso la realizzazione di imponenti lavori pubblici e la costruzione di vastissimi complessi destinati alle abitazioni popolari; verso il miglioramento dell’organizzazione interna degli uffici e servizi comunali, verso un graduale incremento delle imposte dirette; verso infine la realizzazione di un sempre più ampio inserimento dell’influenza del Comune di Milano nell’area degli interessi regionali, nazionali e internazionali”.
Il piano regolatore del 1934 fu ben presto considerato assolutamente inadeguato alle esigenze; la legge urbanistica del 1942 ne mostrava ancora più nettamente i limiti. Una commissione consultiva fu istituita allo scopo di definire direttive per il nuovo piano regolatore, anche attraverso la collaborazione tra tecnici del Comune, cultori di urbanistica e soggetti della società in grado di promuovere idee e indirizzi. Fra le adesioni all’invito con proposte concrete, quelle dell’Azienda dei trasporti municipali, del Consorzio del canale navigabile Milano-Cremona, dell’Istituto lombardo di urbanistica, della Curia arcivescovile.
Gli orientamenti della commissione individuavano alcuni caposaldi del nuovo strumento urbanistico: l’azzonamento del territorio comunale, la limitazione alla trasformazione edilizia del nucleo storico, la costruzione del centro direzionale, il risanamento e la riorganizzazione dei quartieri periferici, l’organizzazione di nuovi aggregati autosufficienti. Le norme tecniche d’attuazione del PRG ed il regolamento edilizio aggiornato sulla base del testo del 1921 costituivano le basi normative per l’attuazione delle previsioni di piano.
All’iniziativa del Comune per la costruzione di nuove case si aggiunsero le attività dell’Istituto autonomo per le case popolari e di altri enti che contribuirono ad affrontare il problema dai molteplici risvolti economico-sociali: fra altre, la realizzazione dei quartieri Harar-Dessiè, Maurilio Bossi, ora Molise, Fabio Filzi, il quartiere sperimentale QT8 promosso in occasione dell’VIII Triennale del 1947.
Dal 1953 l’Amministrazione adottò numerosi piani particolareggiati, strumenti di definizione di aree e comparti specifici, di particolare rilevanza urbanistica, in relazione al tessuto edificato e alle condizioni strutturali ed igieniche, ad attrezzature pubbliche, ad infrastrutture a scala metropolitana.
Nel quadro del generale riassetto urbano il settore della viabilità e della mobilità pubblica richiedevano misure tanto complesse quanto urgenti.
Accanto alla gestione delle reti di trasporto pubblico di superficie il tema dei collegamenti in sottosuolo non aveva ancora definizione progettuale alla metà del secolo. La necessità della metropolitana era ormai fuori discussione, con la circolazione delle automobili che cresceva senza sosta, fino a che nel 1950 la città “fu sottoposta ad un durissimo banco di resistenza del quale non aveva mai avuto bisogno. Ora minaccia di scoppiare, di travolgere con sé i risultati di anni di lavoro, di organizzazione e di studio per una migliore disciplina del traffico”.
Nel 1955 il Consiglio comunale deliberava la costituzione della Società per azioni della Metropolitana Milanese, per la costruzione e l’esercizio delle linee metropolitane, secondo il progetto di massima approvato dal Ministero dei trasporti nello stesso anno. Pur avendo a disposizione due progetti di metropolitana, entrambi finanziati, l’Ufficio tecnico comunale fu in difficoltà nella scelta della soluzione adeguata; ulteriori studi ed approfondimenti, considerata la rilevanza dell’opera, determinarono l’allungamento dei tempi.
Nello stesso anno il Comune si fece promotore di un concorso nazionale per la progettazione della nuova sede dei servizi tecnici. Il gruppo formato da Vittorio Gandolfi, Renato Bazzoni, Luigi Fratino e Aldo Putelli si aggiudicò il primo premio e l’edificio fu realizzato nell’area del centro direzionale, tra il 1955 e il 1966.
Fra le opere pubbliche di particolare rilevanza, il settore delle fognature era da lungo tempo oggetto di interventi parziali e non risolutori. Dopo la deprecabile copertura della cerchia interna dei navigli attuata nel periodo fascista si protrasse per lungo tempo il problema della regimazione delle ondate di piena dei corsi d’acqua che attraversano la città, dello smaltimento e depurazione delle acque reflue.
L’espansione edilizia “non controllata” ha pesantemente condizionato l’equilibrio idrico sul quale per secoli si era retta la città e il vasto territorio circostante, votato da secoli all’agricoltura, settore che ha raggiunto massimi livelli di produttività, accompagnata da grande valenza ambientale e culturale per le forme di paesaggio agrario elaborate storicamente.
Il processo di sostituzione delle destinazioni residenziali con strutture e funzioni produttive – dapprima legate al settore secondario, poi al terziario – è divenuto sempre più ampio, sino ad assumere caratteri di fenomeno speculativo di lungo periodo, supportato dalla rendita fondiaria che lo schema monocentrico ha consentito in maniera proporzionale al sempre maggiore affermarsi della città come luogo unico e privilegiato dell’economia, della finanza, dei traffici commerciali nel contesto nazionale ed europeo.
Un contesto storico nel quale pure devono essere collocati gli sforzi di quanti hanno coltivato, anche con azioni concrete nella città, l’illusione di invertire i processi di crescita dell’agglomerato senza ricorrere a profonde e radicali modifiche nelle relazioni economiche esistenti. Logica della quale è pure mancata una adeguata teorizzazione pure nei progetti di assetto territoriale che ad essa si ispiravano più palesemente, il piano Beruto del 1888 ed i successivi piano Pavia Masera del 1910-12 e piano Albertini del 1934.
La mancanza di una chiara definizione di obiettivo, di equilibrio sociale ed urbanistico, ha pesantemente condizionato la politica dell’Amministrazione comunale che ha di fatto accreditato il ruolo di tecnicismo di maniera volto a dare risposte contingenti alla realtà urbana, del tutto svincolato dal senso storico ed ignaro delle pesanti implicazioni sociali connesse ai processi di trasformazione urbana. Incoerenza ed incapacità decisionale alle quali solo nell’ultima parte del secolo scorso la municipalità e le istituzioni pubbliche hanno cercato di reagire con la creazione di istituti ed organismi di studio interdisciplinari votati alla elaborazione di nuovi modelli abitativi e tipi ideali di unità urbane e territoriali. Processi di sviluppo che non hanno incontrato limiti apprezzabili negli orientamenti politici contrastanti con la logica delle relazioni socio-economiche dominanti.
La dilatazione della città è avvenuta per stadi successivi, con conseguenti spostamenti del peso demografico, la cui dinamica è stata anche influenzata, se non determinata, da fattori strutturali connessi all’evoluzione delle modalità di trasporto e di comunicazione.
Nel 1999 l’Amministrazione comunale ha ridotto il numero delle zone di decentramento, accorpando le venti zone in cui la città era divisa ed amministrata nelle nove attuali, con la zona che occupa il centro storico e le restanti distribuite radialmente verso la periferia.
Nel 2001 è costituito l’Urban Center sotto la direzione dell’Assessorato allo Sviluppo del Territorio, con l’obiettivo primario di favorire il rapporto tra Amministrazione comunale e cittadini sulla base di una crescente informazione sui piani urbanistici, per promuovere il dibattito pubblico attorno ai progetti in corso e valorizzare il patrimonio architettonico di Milano.
Originato con le prime formulazioni nella seconda metà degli anni ‘80 nell’ambiente dell’università, degli ordini professionali e delle associazioni di categoria, sulla scorta delle esperienze maturate in Europa, a Berlino e a Parigi e negli Stati Uniti, l’Urban Center è il primo centro multimediale italiano per l’informazione sui progetti di sviluppo urbano e sul grande patrimonio culturale ed architettonico della città.
Complessi archivistici
- Pratiche edilizie (1928 - 1983)
Fonti
- Storia delle Provincie lombarde = Storia amministraiva delle provincie lombarde, Istituto per la scienza dell'amministrazione pubblica (a cura di), 1970
Compilatori
- Daniele Garnerone (Architetto)
Link risorsa: http://lombardiarchivi.servizirl.it/creators/1468