Comune di Tremosine ( sec. XIV - 1897 )

Tipologia: Ente

Tipologia ente: Ente pubblico territoriale

Sede: Tremosine

Profilo storico / Biografia

Note generali
Con il nome di Tremosine si designa un altopiano di 70 Kmq situato nell’Alto Garda bresciano, comprendente vari nuclei abitativi dislocati tra prati e boschi. La frazione cui storicamente fa capo l’organizzazione sociale, politica e amministrativa è Pieve, posta a 413 m. di altitudine. Fino all’epoca della dominazione veneta (1426-1797) vi sono scarse notizie sulle vicende del paese; è coinvolto negli avvenimenti della grande storia.
Popolazioni etrusche prima e, nel sec. VI a.C., popolazioni cenomane in perenne movimento si stanziano in questi luoghi. Testimonianze tardive di presenza cenomame sono: il culto al dio Bergimo, segnalato da una lapide rinvenuta in luogo; alcune cadenze dialettali in o, u; toponimi come Dalk, Sarmér, Lo, Naràngol, Nandìl non riconducibili alla parlata latina. Quattordici epigrafi rivelano la successiva presenza romana. Pare abitassero qui famiglie della tribù Fabia (1).
Seguono le invasioni dei Longobardi e dei Franchi. Le popolazioni cambiano dominatori, non le condizioni di vita segnate da un economia agricola sempre ai limiti della sopravvivenza.
Dopo la morte di Carlo Magno (814) probabilmente Tremosine fa parte di uno dei moltissimi feudi in cui sono frantumati i territori europei.
In epoca comunale entra nella competenza del comune di Brescia, zona di confine con i domini del principe-vescovo di Trento. Le lotte verificatesi in seguito all’elezione di Berardo Maggi a vescovo di Brescia, appartenente a ragguardevoli famiglie bresciane, simpatizzanti verso i Visconti, avverse alla presenza di Carlo d’Angiò al quale la città si è consegnata nel 1270, coinvolgono anche la Riviera. Nel 1277 alcune borgate benacensi si ribellano al vescovo; ne seguono scaramucce che culminano nella presa della rocca di Manerba, rifugio dei ribelli. In questo contesto di lotte di fazioni comunali è da collocare il momentaneo passaggio, nel 1283, di Tremosine, Limone e Tignale al duca di Carinzia e vescovo di Trento; i territori sono ricuperati quasi subito in seguito ad una battaglia combattuta tra milizie bresciane e trentine sulle colline di Tignale (2).
Dal 1300 la Riviera è interessata da arruffate vicende di conflitti tra guelfi e ghibellini e tra gli Scaligeri di Verona e i Visconti di Milano, in balìa ora degli uni ora degli altri.
Nel 1426 ambasciatori benacensi promettono fedeltà a Venezia; ma proseguono i contrasti tra diverse potenze politiche per il controllo dei territori rivieraschi: i Visconti non si rassegnano alla perdita di queste zone. Venezia viene preferita dalle popolazioni grazie ad una politica accorta, rispettosa dei privilegi acquisiti dai comuni nei tempi passati, esigendo soltanto la contribuzione di imposte e di uomini d’arme.
Un periodo di grave incertezza si ha dal 1509 al 1516, in seguito alla lega di Cambray (1508) con cui si alleano il papa Giulio II, la Francia, la Spagna e la Germania contro Venezia, rea di essersi impossessata delle città pontificie di Rimini e Faenza. Nella confusione di movimenti di milizie, di assalti, di guerre, di alleanze concordate e poco dopo smentite ogni potenza approfitta per allargare i confini. Anche l’Alto Garda ne è interessato. Nel 1511 si intavolano trattative tra il capitano di Riva e il comune di Tremosine per l’aggregazione del comune al principato di Trento; il disegno politico è più di un tentativo, tanto che Tremosine ad un certo momento paga taglie a Riva. Nel 1513 il comune spinge per ottenere un vicariato per l’amministrazione propria delle cause civili, simile a quello di Tignale. Ma Salò reclama la fedeltà del comune e nel 1515 pretende la partecipazione di Tremosine al pagamento di tutte le taglie ordinarie e straordinarie (3).
La normalità ritorna nel 1516; Venezia riprende il controllo della Riviera mantenendolo fino al 1797. Dalla metà del secolo XVI si inizia a denominare le zone della Riviera occidentale con l’appellativo di “Magnifica Patria”. Venezia ne riconosce la divisione in 6 quadre, già stabilita sotto la dominazione viscontea: quadra di Salò, di Campagna, di Valtenesi, di Montagna, di Maderno, di Gargnano . Tremosine appartiene a quest’ultima. Il governo centrale della Riviera ha sede in Salò; è capeggiato dal rettore, col titolo di provveditore della Riviera e capitano di Salò, affiancato da un podestà, cittadino bresciano, giudice civile, e da un consiglio di 36 cittadini (6 per quadra). Da questa assemblea provengono alle amministrazioni locali le direttive di governo.
Il centro di approvvigionamento del Garda è il mercato di Desenzano. Su questo sfondo storico è da collocare l’analisi del materiale dell’Archivio Antico di Tremosine, particolarmente utile per la
conoscenza le modalità con cui si è espresso localmente il sistema politico veneziano.
La popolazione dell’altopiano di Tremosine è esigua. Un codicetto cartaceo dal titolo Benacensium seu salodianae riperiae catalogus, ms. quer. A, VIII, 27, non datato, ma presumibilmente della seconda metà del XVI sec., riporta i nomi delle frazioni (“villae”) del comune e il numero degli abitanti: “Comun de Tremosegno: la Pieve, Priès (oggi Priezzo), Mus (Musio), Sumpriès (Sompriezzo), Secastello, Voiandes, Oltì (Voltino), Iustèg (Ustecchio), Sarmér (Sermerio), Cadignà (Cadignano), Pregàs (Pregasio), Mesema, Alarìas (Arias). Ha anime utile dalli 18 fino alli 50 anni, 353; putti fino alli 18, 342; homeni dalli anni 50 in suso, 124; donne d’ogni sorte, 874; totale, 1693”. Nell’elenco manca la frazione di Vesio

Governo comunale in Antico regime
Per quanto riguarda le funzioni e l’organizzazione degli organi locali va ricordato che il governo deriva dall’ordinamento repubblicano veneto, ma a Tremosine si caratterizza secondo la particolare frammentazione dei nuclei abitativi. Elezioni, deliberazioni, incarichi sono distribuiti tenendo conto alla divisione del paese in quadre: quadra di Pieve, di Sermerio, di Vesio, di Voltino. La casa comunale è situata in contrada della Pieve, in località Piazza. Qui si riuniscono la vicinia e il consiglio comunale.
La vicinia, chiamata anche “pubblico e generale comune” è composta dai capifamiglia di ciascuna quadra, che sostengono “oneri e fazioni” (al 16 settembre 1543: quadra di Voltino, 24 vicinanti; quadra di Vesio, 45; quadra di Sermerio, 22; quadra di Pieve, 40). La vicinia tratta questioni di ordine generale; soprattutto le compete la vigilanza sul patrimonio comunale, sia per l’utilizzo che per la tutela: compravendite e affitti di legne e pascoli, l’esercizio dei due mulini comunali (superiore e inferiore), dei quali si stende inventario ogni anno, l’imposizione di taglie sono questioni discusse in assemblea generale.
Ogni quadra ha la propria vicinia diretta da un podestà, che funge da intermediario tra la contrada e il governo centrale. Con la vicinia governa il consiglio (chiamato anche “general consiglio”, e dal sec. XVII anche “banca” o “banco dei consoli”), organo ristretto di 12 cittadini, che discute affari correnti. I consiglieri sono scelti tra i cittadini più sapienti, capaci di leggere e di scrivere, di maggior estimo, abitanti nel comune, di età superiore ai 25 anni. Ne sono scelti 3 per quadra. Fino al 1586 sono eletti dalla vicinia, in seguito dallo stesso consiglio. Il consiglio rimane in carica un anno; i consiglieri non possono essere rieletti prima di 3 anni. A ciascuno viene corrisposto un salario (lire 3 planette mensile nel 1508).
All’inizio del loro mandato i consiglieri giurano “con ogni loro puoter tener la ragione del comune, far riguardar le rasse, non permetter sii fatto torto alle vedove, puoveri et miserabili persone, far sumer le parti, et provisioni di comune, et insomma tralasciar l’inutile, et procurar l’utile del rispettabil comun di Tremosine” (reg. 12, 1644). Vicinia e consiglio sono legittimati con la presenza dei due terzi dei membri. L’assenza viene multata. La dinamica della nomina dei nuovi consiglieri è la seguente: tramite dibattito viene “eletto” (=proposto a voce) un candidato; segue la “ballottazione” (introduzione di una pallottola in un’urna, o in quella dei voti favorevoli o in quella dei i contrari) del candidato a confronto con un consigliere da surrogare; approvazione (nomina) o non approvazione della nuova candidatura. In caso di non approvazione si propone un nuovo candidato, fino ad esito positivo. Dibattito, elezione, ballottazione, approvazione/non approvazione è la procedura consueta delle assemblee comunali. Le deliberazioni approvate si chiamano “parti prese”. La vicinia e il consiglio, pur rimanendo le due strutture fondamentali dell’amministrazione comunale, sono soggetti a continue revisioni, a causa di difficoltà nel governo, in continua tensione tra democrazia diretta, più confacente allo spirito di autonomia delle singole quadre, ma confusionaria, e democrazia rappresentativa, più snella circa il funzionamento, ma più vulnerabile a tentativi oligarchici.
Il primo giugno 1586, per la prima volta, accanto al consiglio si trova una “adiuncta” di 8 persone. Non se ne conosce né la durata, né la funzione, a causa di una lacuna nei registri dal 1586 al 1594.
Ancora nel 1586 compare la surrogazione dei consiglieri da parte degli stessi consiglieri, mentre precedentemente venivano eletti dalla vicinia.
Dalla metà del 1595 vi è un’elezione di medio anno di 4 nuovi consiglieri, in sostituzione di altrettanti, chiamata “renovatio consilij medij temporis”, mentre, all’inizio del nuovo anno, vengono eletti gli altri 8. Non si sa quando sia iniziato questo sistema, stante l’accennata lacuna del 1586-1594, né per qual motivo sia stata introdotta; dura almeno fino al 1606; segue un’altra lacuna nei registri dal 1607 al 1614. Al dicembre 1615 i consiglieri eletti per il nuovo anno sono ancora 12. Nella vicinia del 27 novembre 1622 si osserva che l’assemblea viciniale riesce spesso tumultuosa a causa dell’elevato numero dei partecipanti, per cui gli affari pubblici rimangono “indecisi”. Il console Thomio Delaini propone di ridurre a 48 i membri della vicinia secondo
i seguenti capitoli: i 48 devono essere eletti dalla vicinia, 12 per quadra; è eleggibile 1 membro per famiglia entro il 4° grado di parentela; 8 giorni prima di Natale devono essere eletti 12 consoli dai 48; le elezioni si devono tenere ogni 4 anni, mediante ballottazione di ciascun vicinante; l’eletto non può rinunciare, se non sotto pena di mezzo ducato; i consoli si radunano almeno due volte al mese; l’assenza per tre volte consecutive al consiglio e all’assemblea dei 48 provoca la decadenza dall’incarico. La proposta è approvata. La deliberazione non viene osservata: la vicinia continua a riunirsi come in passato. Un altro mutamento nel governo del paese si verifica nel 1743. Il motivo è identico: l’impossibilità della trattazione ordinata degli affari pubblici a causa dell’elevato numero dei vicinanti. Il 10 gennaio 1743 il provveditore di Salò Vincenzo Donado, su proposta del comune, approva una nuova forma di governo: i membri del consiglio devono essere ridotti a 32, 8 per quadra, nominati da ciascuna quadra; di questi 32, 12 formano il consiglio dei consoli (3 per quadra); il consiglio dei 32 si riunisce la II domenica di ogni mese, a porte chiuse; capo del consiglio è il sindaco, soprannumerario, senza diritto di voto. I 38 si chiamano consiglio generale, i 12 consiglio speciale. Si stigmatizza anche il modo poco civile di intervenire dei consiglieri nei dibattiti: il 16 febbraio 1743 lo stesso provveditore decreta che gli interventi siano ordinati, cioè non sovrapposti, senza espressioni oltraggiose verso gli altri consiglieri, sotto pena di esclusione dal governo del comune. Ma il nuovo sistema non è soddisfacente. Il 15 marzo 1755 il provveditore Bartolomeo Trevisan approva la proposta del comune che la presentazione dei consiglieri spetti sì alle quadre, ma la ballottazione competa alla vicinia generale del comune; con ciò si vuol togliere l’abuso verificatosi nelle separate vicinie, cioè che vengano, talvolta, preferiti ai migliori cittadini i meno abili, per convenienza di parte. In questo modo la vicinia generale, pur non direttamente coinvolta, non viene tuttavia esclusa dal governo, ma ne vigila il regolare e proficuo funzionamento. Il 17 aprile 1785 il provveditore Pietro Ravagni approva un nuovo governo: il consiglio è ridotto a 24 membri (6 per quadra) con un sindaco soprannumerario, eletto dai 24, presentato dalle quadre alternativamente; alla vicinia rimane comunque il controllo su aspetti fondamentali, non potendo i consiglieri stabilire nuove imposte, far debiti, erigere nuove fabbriche, eleggere il medico, i molinari, affittare i mulini e altri beni comunali senza l’intervento della vicinia. Il nuovo governo dura fino all’avvento della rivoluzione francese. Il funzionamento dell’amministrazione comunale avviene tramite la distribuzione di incarichi: la nomina, da parte della vicinia o del consiglio, è annuale, oppure all’occorrenza, e tiene conto della divisione in quadre. Il numero dei ministrali non è fisso per tutti gli incarichi.
Il console viene eletto a sorte dai consiglieri tra gli stessi, mensilmente: ha autorità di condannare al pagamento di ammende e di assolvere, provvedere ad “acconciare” i mulini mediante l’incantadore, dar udienza a tutte le cause almeno una volta al mese, denunciare i delitti, opporsi a chi molesta il comune sia da Salò che da altrove, convocare la vicinia per la discussione delle entrate comunali. Il viceconsole assiste tutti i ministrali sia criminali che civili, introduce a Salò le denunci criminali, coadiuva il console nelle sue occorrenze. Il sindaco viene nominato nei documenti per la prima volta il 14 dicembre 1664, eletto dalla vicinia: ha l’ufficio di guidare il dibattito delle assemblee, controllare l’esecuzione delle deliberazioni.
Altri ufficiali comunali sono: i campari, per la sorveglianza dei campi e delle foreste; gli estimatori, per la compilazione degli estimi e per la valutazione di danni ai beni pubblici e privati; i sorveglianti alla vendemmia, per il controllo sull’inizio della raccolta delle uve e la produzione del vino; gli ispettori di sanità, per l’applicazione di misure di emergenza in casi di diffusione di malattie; il barcaiolo, per il trasporto delle merci al mercato di Desenzano; i cavalieri delle vettovaglie, per il controllo della vendita regolare di generi alimentari e per la sorveglianza dello stato delle strade; il fante, per la pubblicazione degli avvisi del comune ai privati o pubblicamente mediante “strida”; i condannatori, per la denuncia dei danni ai beni comunali; il medico; il cancelliere.
Il comune si occupa anche di altre necessità vitali della popolazione come la provvista del salarolo, del beccaro (il macellaio), del pistore (fornaio), del molinaro, di una osteria per i forestieri. Vi sono altri addetti alla gestione delle finanze, descritti nella serie successiva.

Amministrazione economico finanziaria
Il sistema amministrativo del comune si basa sulla gestione dei beni mobili e immobili pubblici e privati in ragione delle entrate (tassazione d’estimo, affitti, condanne per rasse) e delle uscite (onorari ai ministrali, taglie manutenzione dei beni comunali, contribuzioni alla parrocchia). Strumento per l’inventario dei beni è l’estimo, compilato e verificato periodicamente dagli estimatori. I registri elencano di ogni estimato gli edifici e le pezze di terre, descritti secondo la natura della produzione (vitata, olivata, arboriva, gaziva, boschiva), valutati e tassati in base al valore. La taglia riscossa va al comune e poi versata alla Camera fiscale di Salò. Il libro d’estimo viene letto pubblicamente dal cancelliere, davanti alla vicinia. Secondo un estimo del XVI sec. (reg. 76) gli estimati sono 396; il comune possiede 6 edifici (2 mulini, la casa comunale, alcune malghe) e 22 pezze di terra; il cittadino più ricco è Giuseppe Zanardi con parecchie case e 50 pezze di terra. Nel 1550 i maggiori estimati sono il notaio Marco Marchetti, con beni valutati di L. 7275, Pietro Cozzaglio, L. 6190, Pietro Martinelli, L. 5875.
Gli estimatori procedono anche alla “numerata degli ulivi”, consistente nella valutazione della produzione di olio calcolata in quarte e coppi (1 quarta= litri 12,55; 1 coppo= 1/4 di quarta) per ogni pezza di terra olivata, in ragione del numero delle piante d’ulivo, al fine di applicare la tassazione del dazio. I beni comunali vengono appaltati a privati dietro conveniente pieggeria. Un’altra entrata comunale è quella delle condanne per danni ai beni comunali o privati (strade maltenute; pascoli, tagli, trasporti abusivi; passaggi di animali attraverso terreni coltivati; frodi, ecc.)
Nel XVI e XVII sec. i danni sono denunciati dagli estimatori, dai campari, dai cavalieri delle strade, e soprattutto dai 4 dannatori, o rassatori, incaricati di vigilare sopra le rasse (fondi boschivi del comune destinati a produzione di legname). I rassatori presentano l’elenco al comune; a scadenza non fissa (2 volte nel 1586; 4 volte nel 1588), dopo aver fatto “stridare” in piazza, il cancelliere legge pubblicamente, in comune, l’elenco delle condanne, che vengono sanzionate e sottoscritte ufficialmente dai rassatori.
Nel ‘700 presentano querele anche i privati; in questo caso, alla fine dell’anno, il consiglio estrae tra i consiglieri 4 condannatori (1 per quadra) per ascoltare i querelati chiamati a difendersi. I 4 emettono a maggioranza il verdetto di condanna o di assoluzione e, se occorre, nei casi di contestazione, effettuano sopralluoghi.
Dell’estimo, degli affitti, delle condanne, il cancelliere tiene regolare nota e viene fatto scodirolo da consegnare al massaro, il quale effettua le operazioni di esazione e di pagamento dei debiti sotto il controllo del comune. L’esazione e i pagamenti sono effettuati, talvolta, anche dal cancelliere e dal console, i quali utilizzano o denaro riscosso direttamente o ricevuto dal massaro. Il massaro del comune è nominato dalla vicinia; accanto a lui sono eletti, talvolta, altri massari per massarie correnti o straordinarie.
La massaria viene appaltata ed è consegnata a chi presta il servizio a minor costo. Il massaro presenta in garanzia, o pieggeria, 4 fideiussori, tra i quali ne viene scelto uno dalla vicinia o dal consiglio.
Il massaro ha un capitolato: deve riscuotere e pagare tutto ciò che è scritto nel suo libro scodirolo; deve sollecitare più volte al mese i debitori morosi, avvertendo il console, il quale, su richiesta del massaro, è tenuto a pignorare i debitori e a costringerli al pagamento di interessi; deve riscuotere i debiti a sue spese; deve assolvere anche il pagamento delle gravezze comunali.
Anche l’esazione dei vari dazi (dell’olio, del macinato, della compravendita del bestiame) spetta al massaro. L’ufficio di massaro è poco ambito, perché i debitori sono insolventi. Il 6 gennaio 1665 la vicinia, per far fronte alla difficoltà di reperire il massaro, decide di non tenere più conto del “praticato costume” di non appaltare la massaria a massari debitori, essendosi rivelato questo sistema dannoso: elegge quindi massaro Pace Peretto con salario annuo di lire troni 500, pur essendo debitore di troni 1000. Alla fine dell’anno il massaro dà il resoconto a saldo della massaria davanti al consiglio, ai raziocinatori, ai testimoni e al cancelliere. Se è debitore si impegna a saldare il debito. Il consiglio può demandare ai raziocinatori e al sindaco il controllo dei saldi annuali.
Per quanto riguarda l’aspetto redazionale i libri della massaria hanno la registrazione in forma di partitario, con la contabilità in dare-avere; il massaro è considerato debitore (dare) di quanto gli è dato in esazione e creditore (avere) riguardo ai pagamenti effettuati; la registrazione avviene anche per semplice elenco di entrate-uscite.
Salò vigila sulle amministrazioni locali. A Tremosine l’amministrazione finanziaria è confusa, con conseguente ripercussione sul pagamento di taglie. Il 10 giugno 1743 Salò ordina alcuni adempimenti: in un bollettario si registrino le bollette, che riportino esattamente e chiaramente la causa e l’ordine di rilascio; si tenga il libro dei saldi dei massari con il loro credito-debito; anno per anno si descrivano i debitori con la somma del debito-credito, in un registro compilato dal massaro, oppure, in sua mancanza, dal cassiere, da consegnare al notaio al termine della massaria; il comune abbia un libro delle rendite (incanti, affitti, livelli), che serva per formar gli scodiroli dei massari; in un altro libro il cancelliere annoti tutti i debitori residuati del comune; infine si tenga un registro con partita distinta di ogni gravezza, dazio, taglie annue, e i pagamenti effettuati.
Nei volumi a noi giunti non si notano variazioni rispetto alla registrazione precedente; vi è solo un bollettario che inizia dal 1743.
In momenti di particolari calamità il comune, in esecuzione di decreti veneti, prende a prestito denaro per ripartirlo tra privati in somme affrancabili a termine. Così avviene nel 1782- 1783. La quadra di Pieve ottiene L. 2857 per 158 beneficiati; la quadra di Vesio: L. 2803, 77 beneficiati; la quadra di Sermerio: L. 2167, 141 beneficiati; la quadra di Voltino: L. 1006:10, 51 beneficiati.

NOTE
1) P.E. TIBONI, Tremosine e suo territorio, Brescia 1859, pp. 41-66.
2) F. BETTONI, Storia della Riviera di Salò, I, Brescia 1880, pp. 230-231.
3) Archivio Antico del comune di Tremosine, reg. 2.

Complessi archivistici

Profili istituzionali

Compilatori

  • Mario Trebeschi (Archivista)