Pratiche individuali dei raccomandati (1918 novembre 25 - 1919 novembre 27)
4.098 unità archivistiche di primo livello collegateSerie
Consistenza archivistica: 4100 unità archivistiche custodite all’interno di 42 faldoni
Nel giugno del 1919, quando Ugo Da Como diventa ministro, la guerra è finita da diversi mesi, tuttavia, ritardi e inadempienze legati all’insufficienza di personale nell’amministrazione statale, all’impreparazione, oppure alla negligenza di impiegati e amministratori locali (cui spettava fornire gli atti di stato civile per l’istruzione delle pratiche), faceva sì che molti invalidi e familiari dei caduti, nonostante le ripetute istanze, attendessero ancora la liquidazione della pensione, e per questo si rivolgessero direttamente al Ministro o a persona influente che li raccomandasse. Deputati, amministratori locali, notabili e religiosi del luogo di residenza dei petenti si facevano così portavoce delle loro domande, a superare l’immobilismo delle istituzioni, per ottenere i diritti che gli spettavano o soddisfare le loro aspirazioni. Del resto i ricorrenti erano spesso persone appartenenti alle classi umili per le quali era compito difficile presentare una domanda corretta e che dunque, per accedere alle provviden0ze statali, dovevano rivolgersi a scriventi più esperti, capaci di esporre il loro caso nella maniera più completa e corretta. Così a scrivere sono per esempio, tra i bresciani, l’arciprete di Lonato Silvio Ogheri, la maestra Giacinta Bettoni di Botticino, la contessa Evelina Toccagni de Terzi Lana di Brescia, l’avvocato Carlo Bonardi presidente della sezione di Brescia dell’Associazione nazionale combattenti, i deputati al Parlamento Giacomo Bonicelli, Gian Giacomo Morando e Livio Tovini; persino la moglie del ministro, Maria Glisenti.
Le loro istanze e quelle di chi si rivolgeva direttamente al ministro davano l’avvio al procedimento amministrativo, del quale il fascicolo è testimonianza. All’interno di esso, le carte erano organizzate secondo un ordine preciso che rispecchia la sedimentazione dei documenti e consente di ricostruire in linea di massima l’iter burocratico della pratica.
Essa principia nella maggior parte dei casi come istanza o altra forma di comunicazione presentata da un privato (persona o ente) direttamente al ministro Da Como o al suo segretario. Quando l’istanza del richiedente manca, un breve promemoria, o una nota su carta intestata del Ministero per l’assistenza militare e le pensioni di guerra o della Camera dei deputati, fornisce le indicazioni necessarie ad istruire la pratica.
Lo sviluppo della pratica è testimoniato dalle minute delle missive indirizzate dal ministro Da Como alle autorità o agli uffici responsabili della trattazione dell’affare. Si tratta di documenti suddivisi in due porzioni: quella superiore contiene le informazioni trasmesse da Da Como a chi dovrà occuparsi dell’affare, quella inferiore un aggiornamento per il richiedente. Le risposte delle autorità interpellate, che scrivono a Da Como per riferire sullo stadio di perfezionamento o sull’esito dell’istanza, sono conservate in copia poiché gli originali venivano inviati all’interessato. E questo accade in linea di massima.
Il tutto veniva poi inserito in una camicia prestampata che reca nella parte superiore l’intestazione “Ministero per l’Assistenza militare e le pensioni di guerra − Gabinetto del Ministro – Pratiche individuali – Raccomandati” e il timbro a inchiostro “Gabinetto del Ministro – Segreteria particolare”. Nella sua parte centrale una griglia accoglie gli elementi rilevanti della pratica: il numero d’ordine, che però, di solito, è scritto a matita blu nell’angolo superiore sinistro della camicia (1), le generalità del raccomandato e l’oggetto della sua richiesta. Nella parte inferiore, infine, alcune righe sono riservate al nome del raccomandante, del quale sono espresse qualifiche o cariche. Sono inoltre qui indicati coloro che vengono interessati ad occuparsi della pratica. Se la camicia fornisce sulla pratica numerose informazioni, la lettura delle carte in essa contenute permette di precisarle e ampliarle.
All’interno del fascicolo si possono trovare lettere, telegrammi, cartoline postali, biglietti da visita, ordini di pagamento della pensione trasmessi dalla Segreteria particolare del Ministro in via Veneto al Servizio pagamenti acconti e pensioni in via Agostino Depretis, note, appunti, relazioni, solo in due casi fotografie. Una è il ritratto di un militare defunto (2). Tredici sono le fotografie che ritraggono lo scultore Luigi Contratti − professore all'Accademia Albertina di Torino – e l’architetto Roberto Etzel con il bozzetto da loro realizzato per il concorso internazionale per un monumento all'indipendenza del Brasile da erigersi a San Paolo, oggetto della loro richiesta di raccomandazione. (3) Infine meritano una menzione le tavole di progetto del Villaggio Sant'Eustachio di Brescia, della città Giardino a Porta Venezia e del gruppo di casette per capi reparti e impiegati della ditta Franchi e Gregorini di Dalmine, tutte redatte dall'architetto luganese Americo Marazzi, conservate all’interno della pratica presentata all’attenzione del Ministro dal segretario della Cooperativa case popolari ed economiche di Brescia. (4)
La lettura delle lettere, sia di quella scritte di proprio pugno dai ricorrenti o dai loro familiari, sia di quelle stese per loro dai raccomandanti, offre uno sguardo privilegiato e diretto (che integra le testimonianze fornite per esempio dalla corrispondenza di guerra), sulle esperienze belliche di militari e civili.
Dei primi veniamo a conoscere dati anagrafici, ruolo nell’esercito, carriera, luoghi e tempi della prigionia, cause della morte o dell’infermità contratta. Indicate perché strumentali al conseguimento della pensione di guerra o di sussidi, sono malattie quali la tubercolosi, la broncopolmonite, la pleurite, la febbre malarica, la meningite, la febbre Spagnola, ma anche la malattia mentale. (5)
La violenza inferta ai corpi dal conflitto è testimoniata dalle mutilazioni, effetti devastanti delle armi moderne. Un ‘esercito’ di invalidi, mutilati e ciechi di Guerra − raccomandati da una miriade di associazioni nate su tutto il territorio nazionale a loro sostegno − si presenta a reclamare un risarcimento.
La pratica di Giovanni Dall’Agnol conserva copia, estratta dal registro degli atti di morte del municipio di Verona, dell’atto di morte del soldato in cui si descrivono le tremende mutilazioni del caduto, morto nell’ospedale da campo 006. (6)
Come lo 006, tanti i nomi degli ospedaletti da campo, degli ospedali di tappa e degli ospedali militari di città italiane e straniere vicine ai luoghi di Guerra o prossime ai luoghi d’origine degli infortunati, riferiti nelle memorie dei ricorrenti.
Ma se la Guerra infierisce sui corpi dei combattenti, non risparmia le loro menti: nelle missive la traccia del noto fenomeno delle migliaia di soldati impazziti nelle trincee, colpiti da psiconevrosi e poi reclusi nei manicomi, e di quelli gravemente traumatizzati che, per sottrarsi alla sofferenza fisica e morale patita, rinunciarono a vivere. Come il tenente di complemento Manlio Cesare Polenghi, di Brescia, a margine della cui pratica si legge suicidatosi per «il turbamento della guerra combattuta in trincea».(7) O Mario Ballin, che contrae l’epilessia «dopo vari combattimenti come ardito d’assalto». (8)
A malattia si aggiunge malattia, il soldato Gaetano Busti muore il 16 ottobre 1918 di febbre spagnola nel manicomio di Siena dove era stato internato per alienazione mentale seguita al ricovero per una frattura avvenuta pur lontano dalla prima linea, mentre era in servizio come lattoniere per conto dell'autorità militare.
Nel tentativo di sottrarsi allo spettacolo di morte e al frastuono della Guerra molti abbandonavano il proprio posto come il soldato Luigi De Horatiis, di Cerreto Laziale, che − affetto da «nevrastenia acuta» − e accusato di continuata diserzione passa i mesi tra il manicomio militare di Roma e il carcere. (9) Numerose le istanze di concessione di grazia di disertori condannati all’ergastolo e detenuti nel carcere dell’Asinara.
Più infelice la sorte del soldato Carlo Gallina, fucilato per diserzione dai Carabinieri di Lonato, la cui vedova domanda appoggio affinché che i tre figli vengano accolti in un istituto di educazione. (10)
E ancora moltissimi (150) i casi descritti nelle lettere di richiesta di soldati catturati che scontano lunghi periodi di detenzione o (più spesso) perdono la vita nei campi di prigionia di Mauthausen (il più grande campo di prigionia di italiani), Sigmundsherberg, Josefstadt, Horowitz (Horovice) e Milowitz (Milovice) in Boemia, Braunau, Marchtrenk e Kleinmünchen, Somorja in Austria−Ungheria, Meschede e Zwickau in Germani e molti altri in Polonia, Macedonia…
Il primato dell’Italia, rispetto agli altri Paesi occidentali alleati, sia per numero di uomini fatti prigionieri, sia per numero di morti durante la prigionia, trova conferma nelle carte, dove si susseguono i casi di soldati semplici ma anche di ufficiali e sottoufficiali che perdono la vita nei campi, in condizioni di detenzione inumane, a causa del freddo e della fame patiti (11). Il rifiuto da parte del Governo italiano di inviare aiuti statali ai prigionieri e il fallimento dell’opera volontaristica della Croce rossa, impegnata a trasmettere i pacchi inviati privatamente dalle singole famiglie, causarono infatti la perdita di un abnorme numero di vite.
Le lettere menzionano casi non solo di soldati semplici ma anche di ufficiali morti in prigionia.
Il capitano Giuseppe Rebughi muore nel campo di prigionia di Horowitz in Boemia il 7 settembre 1918, assassinato da una sentinella mentre tentava la fuga. (12)
Il capitano d'artiglieria Giuseppe Bertolotti, figlio del pittore di Paspardo Cesare Bertolotti, ferito in combattimento sul Monte Badenecche il 21 novembre 1917 e fatto prigioniero, si spegne all'Ospedale militare di Innsbruck il 29 dicembre di quell'anno. (13)
Tra coloro che, sopravvissuti, sono riusciti a far ritorno in Italia, il caporale maggiore di fanteria Saturnino Botticini, originario di Rezzato, fatto prigioniero dagli Austriaci sull'altopiano di Asiago, liberato, torna in Italia dopo un lungo viaggio, attraversando Ucraina, Russia, Svezia e Finlandia. (14) Cesare Faitini, prigioniero per sei mesi in Austria, rimpatriato dopo l’armistizio, prima di essere inviato in Albania, torna a casa in licenza «per soli dieci giorni, che non furono abbastanza per pulirlo dalla mondizia che aveva indosso». (15)
Di molti di questi prigionieri o ex prigionieri, e di altri militari dispersi dei quali le famiglie non hanno più notizie, si interessa il Ministro, che chiede informazioni anche alla Missione militare italiana a Vienna. Spetta talvolta proprio a lui dare alle famiglie notizie sulla sorte infausta dei loro cari.
Se le lettere di coloro che sono stati coinvolti di persona nella guerra offrono un quadro devastante della situazione dei mesi che hanno seguito la conclusione del conflitto, con i reduci afflitti da mali del corpo e della mente, incapaci di tornare alla vita e al lavoro che hanno lasciato prima della guerra, le carte gettano anche luce sulla condizione dei civili – padri, madri, mogli, figli e fratelli dei caduti − che, rimasti a casa, vivevano una vita di stenti, schiacciati in ugual misura dai bisogni materiali e dalla sofferenza.
Chi disponeva prima della guerra di giovani braccia per il lavoro dei campi ora chiede nel migliore dei casi il ritorno dell’unico figlio che ancora può condurli oppure, perso il sostegno dei figli, l’agognata pensione o un sussidio di carità, per sfamare figli piccoli, curare anziani malati. La febbre spagnola colpisce cinque membri della famiglia dell’alpino Belleri Pietro di Polaveno che, rimasto solo a condurre la terra di proprietà di famiglia e con la madre vedova, chiede una licenza illimitata. (16)
Coloro che avevano perso un familiare lontano da casa dovevano affrontare la dolorosa questione del rimpatrio dei resti, del trasporto della salma dalle zone di guerra. L’esigenza di riportare a casa i morti, di dare loro un luogo di riposo decoroso e sicuro nel cimitero del paese nativo si scontrava infatti con grandi difficoltà, non ultima la speculazione di chi approfittando della buona fede delle famiglie carpiva loro denaro colla promessa di procurare le autorizzazioni. Anche allo scopo di risolvere il problema del divieto che gravava sulla traslazione delle salme dei militari (17), nell’ottobre del 1919, aveva inaugurato i propri lavori la Commissione nazionale per le onoranze ai caduti in guerra; se ne trova eco in una lettera del direttore generale della sanità presso il Ministero dell’Interno a Ugo Da Como. (18)
Numerose le pratiche contenenti richieste di autorizzazione. Il padre del caduto Giovanni Riccabella, che è stato sepolto a Monfalcone, vorrebbe recarsi sulla tomba del figlio e chiede quali agevolazioni preveda lo Stato per il viaggio e per l'eventuale trasporto della salma a Volciano. (19)
Un altro padre, Pio Capponi, domanda autorizzazione al trasporto da Vizzola Ticino a Rudiano della salma del figlio Giuseppe, maresciallo aviatore morto nell'ottobre 1918 in un incidente di aeroplano. Allegato alla pratica un articolo di stampa sulla questione delle traslazioni. (20)
Alcuni non potevano nemmeno piangere le spoglie dei propri cari: Tersilia Bodei, recatasi a Cividale, piange il marito disperso su 27 tombe di ignoti soldati italiani, contrassegnate solo da un numero. La sua disperata ricerca di informazioni si infrange contro l’assenza dei documenti, distrutti dai tedeschi quelli presso l’ospedale, privi di dati utili quelli esistenti presso il cimitero. (21)
La sofferenza dei singoli diventa in alcune lettere sofferenza della comunità intera.
Bellissima la lettera del segretario comunale di Limone sul Garda che descrive le conseguenze dell’occupazione militare del paese, con i terreni rimasti incolti per tre anni, molti oliveti scomparsi e «l’industria limoniera distrutta» per l’asportazione delle tavole utilizzate a coprire le serre durante l’inverno, divenute necessarie alle costruzioni militari. (22)
Ancora, vasta eco trovano gli scioperi e le manifestazioni del luglio 1919. Al Banco Mazzola e Perlasca che gli domanda di fare il possibile per evitare i disordini dei giorni di sciopero, Da Como risponde che da parte sua farà «tutto quanto è possibile con vigile amore». (23)
L’iseana Dora Durini, madre di un soldato che chiede di essere esonerato dal servizio, scrive alla moglie di Ugo da Como il 10 luglio 1919:
«[…] ho passato giorni di vera trepidazione per lei in questi dolorosi momenti. Sento con gioia che la calma è ritornata e anche lei sarà ora tranquilla. Se non fosse stata la tema di offenderla le avrei offerto la mia casa, asilo sicuro e indisturbato ma troppo la casta ci divide e anche i sentimenti conviene frenarli di fronte a tale distanza». (24)
Il malcontento che percorre la società in quei mesi è ben descritto dal professor Giacomo Tirale in una lettera indirizzata a Da Como:
«Fui in questi giorni in Val Camonica, in valle Sabbia, negozi chiusi dappertutto e giovani della piccola borghesia ritornati dai servizi militari che non hanno come occuparsi. Erano tutti negozianti una volta che producevano anche che commerciavano e che andavano a gara per vendere a buon mercato. Ora è gente oziosa per forza ed è pericolo che sia così». (25)
Oltre alle lettere capita di trovare, in allegato alle domande, veri e propri memoriali scritti in prima persona dagli interessati e che ricostruiscono vicende di guerra o carriere professionali strumentali al conseguimento di pensioni o riconoscimenti onorifici. È il caso del tenente di complemento d'artiglieria Bartolomeo Chiarolini di Darfo, appartenente al 16° Reggimento da campagna, che chiede appoggio onde essere insignito della medaglia al merito per il comportamento tenuto in occasione della battaglia del Piave (26); o del colonnello Giovanni De Tullio che invia al Ministro un’ampia memoria circa nascita, organizzazione, attività del reparto Mitraglieri FIAT di Brescia (27); e ancora di un soldato, prima ciclista nei Bersaglieri poi passato al Drappello automobilisti come motociclista, che allega una bella relazione sulle vicende belliche vissute in prima persona. (28)
Altri interessi spingevano l’imprenditore Giulio Togni, delle Officine metallurgiche Togni di Brescia, a trasmettere un memoriale da sottoporre al Governo in merito alla proposta di ripristinare l'orario di lavoro giornaliero di dieci ore, stante che la riduzione a otto ore aveva causato una drastica diminuzione della produzione e dei guadagni. (29)
(1) E viene riportato su molte delle carte al suo interno.
(2) ADC, AM, b. 1, f. 66.
(3) Ibidem, b. 12, f. 1192.
(4) Ibidem, b. 7, f. 625.
(5) Raramente nella pratica sono conservati certificati di nascita e certificati medici attestanti, questi ultimi, malattie, lesioni o infermità contratte per causa di servizio (in minuta, in copia dattiloscritta…).
(6) ADC, AM, b. 22, f. 2108.
(7) Ibidem, b. 29, f. 2888.
(8) Ibidem, b. 18, f. 1716.
(9) Ibidem, b. 7, f. 698.
(10) Ibidem, b. 23, f. 2236.
(11) G. Procacci, I prigionieri italiani, in La prima guerra mondiale, a cura di S. Audoin−Rouzeau e J. J. Becker, Einaudi, Torino 2014, pp. 378−379.
(12) ADC, AM, b. 5, f. 495.
(13) Ibidem, b. 2, f. 168.
(14) Ibidem, b. 20, f. 1915.
(15) Ibidem, b. 36, f. 3522.
(16) Ibidem, b. 20, f. 1933.
(17) Decreto 2 settembre 1919 n. 1505. Era vietata la traslazione dall’estero, dai territori situati al di là dell’antico confine e da dieci province italiane (Sondrio, Brescia, Verona, Vicenza, Belluno, Udine, Venezia, Treviso, Padova e Mantova).
(18) ADC, AM, b. 30, f. 3000.
(19) Ibidem, b. 27, f. 2656.
(20) Ibidem, b. 27, f. 2664.
(21) Ibidem, b. 15, f. 1460.
(22) Ibidem, b. 39, f. 3887.
(23) Ibidem, b. 7, f. 617.
(24) Ibidem, b. 7, f. 630.
(25) Ibidem, b. 20, f. 1903.
(26) Ibidem, b. 13, f. 1261.
(27) Ibidem, b. 11, f. 1027.
(28) Ibidem, b. 39, f. 3866.
(29) Ibidem, b. 18, f. 1760.
Nota dell'archivista:
Prima del presente lavoro le carte dell’archivio Da Como non erano mai state oggetto di alcun intervento di riordino e inventariazione ma disponevano di un elenco di consistenza che – pur non descrivendone il contenuto – era utile per valutare consistenza e estremi cronologici delle diverse serie. (1) Il fondo possedeva mezzi di corredo coevi alla formazione delle pratiche, usati dal personale d’ufficio per rinvenire le carte occorrenti al disbrigo dell’attività. Si tratta di due grossi volumi rilegati intitolati il primo “Rubrica segreteria particolare”, una rubrica alfabetica contenente il nome del richiedente, il numero di pratica (2) e (indicato con una R maiuscola) il nome del raccomandante, il secondo intitolato “Gabinetto di sua Eccellenza Sottosegretario”, una rubrica alfabetica uguale alla precedente dove al posto del nome del raccomandante c’è l’oggetto della pratica.
Il fondo è stato articolato in due serie: alla prima, intitolata “Pratiche individuali dei raccomandati”, sono ascritte 4098 unità (3), alla seconda, “Fondo speciale”, due sole unità che contengono i mandati di pagamento relativi ai sussidi straordinari pagati sul Fondo speciale a disposizione del Ministro e due elenchi recanti il rendiconto delle somme erogate.
Alla documentazione è stato mantenuto l’ordine originario dato dal soggetto produttore che la vedeva articolata in fascicoli, composti dalla camicia e dai documenti in essa contenuti, e disposti secondo una numerazione progressiva, che rispecchia – approssimativamente – l’ordine di arrivo delle istanze. Infine, poiché all’interno dei fascicoli le carte erano organizzate secondo un impianto preciso che riflette la originale sedimentazione dei documenti, anche in questo caso esse sono state lasciate nella successione in cui si presentavano e ci si è limitati a cartularle. (4)
Nell’inventario ogni fascicolo è stato descritto attraverso una serie di informazioni rintracciabili alcune sulla carpetta che riunisce i documenti, altre all’interno di essa, nei documenti che formano la pratica. Tali informazioni sono state distribuite nei campi delle schede unità di Archimista nel modo che di seguito si descrive.
Il campo titolo contiene cognome e nome del richiedente (pensione, sussidio, licenza, raccomandazione o altro); nel caso di enti, la denominazione è stata, dove possibile, normalizzata. In casi assai rari al posto del richiedente compare l’oggetto della pratica. Al campo titolo segue il campo estremi cronologici dei documenti (nella forma anno, mese e giorno); quando questi sono assenti la pratica è stata attribuita genericamente all’anno 1919.
Il campo contenuto ospita una serie assai ampia di informazioni, esposte in forma discorsiva: l’oggetto della richiesta inoltrata al Ministro; le generalità del richiedente, che, già note dal titolo, sono qui arricchite da dati anagrafici, relazioni parentali, luoghi d’origine, titoli o, nel caso dei militari, gradi e corpo d’appartenenza. In ultimo vengono indicati anche cognome e nome ed eventuali qualifiche o titoli del raccomandante.
Il campo consistenza riporta (preceduto dalla abbreviazione cc., carte) il numero complessivo delle carte (esclusa la carpetta) che formano la pratica, e il campo segnatura riporta la segnatura archivistica del pezzo, numero di busta e numero di fascicolo (abbreviati rispettivamente con b. e fasc.).
In alcuni casi l’identificazione dell’intestatario della pratica ha posto delle difficoltà: nei casi in cui il nome o il cognome presentano due forme diverse, una sulla carpetta e una nelle carte, oppure non coincidono, si è scelto di riportarle entrambe ponendone una tra parentesi tonde.
Arricchiscono l’inventario gli indici dei nomi di persona e di ente. Si tratta dei nomi degli intestatari delle pratiche che, ordinati alfabeticamente, offrono – attraverso il riferimento al numero di pratica, un rapido mezzo di ricerca all’interno del fondo.
(1) C. Patucelli, Censimento dell’archivio privato del senatore Ugo Da Como (1869-1941), cit.
(2) Che va oltre il 4000, a riprova che il fondo oggetto di questo inventario è uno spezzone d’archivio.
(3) Mancano le pratiche n. 2196 e n. 3467.
(4) La numerazione delle carte ricomincia da 1 in ogni fascicolo ed è preceduta dalla sigla AM (Assistenza militare) abbinata al numero di riferimento della pratica.
Link risorsa: http://lombardiarchivi.servizirl.it/fonds/122838