Giudice alla ragione e dazi (1509 - 1800)
Serie
La diversa denominazione data alla medesima magistratura, cioè giudice alla ragione e dazi, determinata esclusivavamente dalla differente materia trattata, è alla base dell'errato riordino operato, circa venticinque anni fa, dall'allora direttore della biblioteca, mons. Chiodi, il quale si basa sull'ordinamento archivistico già esistente e sulla sola lettura dei titoli presenti sui piatti delle filze e sulle copertine dei registri, titoli, peraltro, spesso, non rispondenti al contenuto.
Dopo un'attenta analisi del materiale delle due serie, ci si è gradualmente resi conto dell'omogeneità degli atti in esse presenti e del fatto che, alle diverse denominazioni, corrisponda inequivocabilmente una sola magistratura retta da un solo giudice. L'ipotesi di una fusione delle due serie ha trovato conferma da un lato nel fatto che queste colmino l'una le lacune logiche e cronologiche dell'altra e dall'altro dal confronto tra il materiale esistente e le registrazioni che vengono effettuate dalla cancelleria del comune in occasione dell'annuale consegna degli atti dei vari uffici cittadini, tra cui quelli dell'ufficio del giudice alla ragione e dazi da parte del suo notaio princiale. Si è posto mano, quindi, alla riunificazione delle due serie(1). Con l'ausilio delle informazioni tratte dai registri della cancelleria del comune, è stato possibile ricostruire la struttura archivistica della serie: per quanto riguarda la materia civile, il notaio principale dell'ufficio consegna, annualmente, almeno una o due filze di atti (solo a partire dal 1797 ogni filza copre solamente un mese), una filza di sentenze, un registro di sentenze (redatto probabilmente alla fine dell'anno e contenente una parte delle sentenze emesse dal giudice nel corso di questo, il cui scopo non è chiaro: si tratta, forse, di un promemoria di agile consultazione per il giudice e bisogna tenere conto del fatto che su alcune delle sentenze trascritte è stato presentato appello al podestà, come risultato dal confronto con le contemporanee filze di atti dello stesso), un registro di "citazioni, termini e comparse", il cui scopo è forse analogo a quello del registro di sentenze, un "liber punctorum", del quale non è rimasta traccia e il cui contenuto è sconosciuto, e, con minore regolarità, una filza, o un registro, di "dati", contenente le registrazioni delle vendite dei beni di proprietà di debitori a favore dei loro creditori, e un registro di "veti e pegni", con le annotazioni dei sequestri operati a danno di debitori insolventi. Per quanto riguarda la materia daziaria, gli atti vengono raccolti generalmente in una sola filza, mentre assai rari sono i registri di sentenze; non rare e riscontrabili lungo tutto l'arco della serie, le filze miste di materia civile e daziaria, ad ulteriore conferma della validità della scelta archivistica operata.
Per quanto riguarda la figura del giudice alla ragione e dazi, si hanno le prime notizie nello statuto della città del 1331, all'epoca della breve dominazione del re Giovanni di Boemia, mentre nulla è dato di sapere sul periodo precedente, data l'incompletezza dello statuto comunale del 1248(2).
Le norme stabilite nel 1331 circa la procedura da seguirsi nelle cause civili, rimangono sostanzialmente immutate con l'avvento della dominazione veneziana e per tutta la sua durata, integrate dagli statuti posteriori sopratutto per quanto concerne le procedure d'appello.
Passando ora all'analisi dettagliata delle competenze, si deve innanzitutto evidenziare il fatto che il giudice alla ragione e dazi della "curia" che il podestà porta con sè nel momento in cui si insedia nella propria carica, senza la quale non può esercitare la propria autorità(3), è eletto dal consiglio dei dieci di Venezia. La carica non può essere assunta da nobili veneziani bensì esclusivamente da dottori delle città suddite (esclusa ovviamente quella in cui vengono destinati), che abbiano conseguito la laurea dottorale presso lo Studio di Padova(4). I giudici devono seguire gli statuti e le consuetudini locali, permeati dal diritto romano, e si rifanno, in caso di lacune, maggiormente al corpus giustinianeo che al diritto veneto, prevalentemente consuetudinario(5).
I tribunali civili sono retti dal podestà, dal vicario pretorio, dal giudice alla ragione e dazi e, eletti dalla città, da tre consoli di giustizia e da tre consoli dei mercanti: ogni attore, in prima istanza, può adire a qualsiasi tribunale, eccetto che nelle "questioni testamentarie e di lettere a Venezia"(6), che vanno giudicate esclusivamente dal podestà, nelle cause riguardanti i dazi "vecchi", che spettano al giudice alla ragione e dazi, quelle riguardanti i dazi "nuovi", giudicate dal camerlengo della camera fiscale, e quelle riguardanti mercanzie, spettanti ai consoli dei mercanti.
Il capitolo I della II collazione dello statuto cittadino del 1727 (riedizione di quello del 1491) recita "de modo procedendi in civilibus causis", cioè indica la procedura che deve essere seguita in tutti i giudizi civili nei tre gradi di giudizio, qualunque sia la magistratura innanzi alla quale si presenti l'attore(7). La durata della causa principale non può superare i quaranta giorni utili e ha inizio quando sia stata stesa una "petitio", messa in seguito agli atti, legittimamente notificata o con una "petitio" o con un "libellus" alla controparte, a seconda della procedura richiesta. "Petitio" e "libellus" devono contenere, sotto pena di nullità, "personam judicis, actoris et rei, et quantitatem, rem, seu jus, quae petuntur, et causam petitionis". La notifica, a sua volta, è valida solo se "scripta fuerit in actis, in judicio, parte praesente: missa fuerit in scriptis parti personaliter, vel ad domum habitationis et familiae eius". Avvenuta la notifica, il convenuto ("reo") ha un giorno utile per "deliberare et respondere" alla petizione; scaduto detto termine, vi sia stata o meno la controcitazione, che deve essere notificata all'attore, si ha "lis pro contestata", cioè il processo si ha come intentato. Da quel momento decorre il termine di quindici giorni utili nei quali attore e convenuto possono "excipere, opponere, petere, probare per omne genus probationum, producere et ostendere quicquid"; scaduti i quindici giorni utili, tutto ciò che è stato prodotto dalle parti "ipso iure" diventa pubblico ed è possibile richiedere delle copie.
La parte è tenuta a rispondere entro il termine fissato dal giudice, "ex statuto", a tutte le "positiones" tranne quelle contenenti un "factum alienum".
Incomincia a decorrere il termine di dieci giorni utili entro il quale la parte che intende "reprobare, impugnare quaecumque probata, producta, ostensa", può farlo mediante "instrumenta et scripturas praesentes, et capitula, super quibus producere voluerit testes, vel probationes", che deve avere cura di notificare alla controparte entro cinque giorni dalla scadenza del suddetto termine. Quest'ultimo ha, a sua volta, cinque giorni per presentare il proprio materiale probatorio; "ipso iure" quanto prodotto dalle parti diventa pubblico e può esserne fatta copia.
Il giudice, entro due giorni dalla fine del termine reprobatorio, sotto pena di fiorini 100 d'oro "omnis danni, dispendii et interesse parti", deve "committere causam" ad un dottore del collegio dei giuristi di Bergamo, eletto dalle parti; queste si presentano innanzi al dottore e producono e presentano "processum, omnia acta agitata et producta in lite"; dopo di che, esaminate le carte e gli allegati, sentiti gli avvocati, il dottore scelto dalle parti deve presentare, entro i quaranta giorni nei quali deve essere concluso il processo di primo grado, il proprio "consilium" per iscritto e sottoscritto di propria mano. Il giudice si uniforma al "consilium" dandogli, con la propria autorità, valore di sentenza; la "pronunciatio" e la "pubblicatio" devono avvenire entro il termine dei quaranta giorni utili e si intendono fatte "ipso iure", qualora il giudice le abbia omesse. E' da sottolineare il fatto che, qualora tale sia la volontà delle parti, il giudice può "decidere, cognoscere e terminare" senza l'intervento del dottore.
La parte soccombente e "quilibet alius cui de iure liceat appellare vel nullam dicere" entro quattro giorni continui può presentare appello, qualora non si rientri nei casi nei quali siano proibiti l'appello o la richiesta di nullità, al podestà, che giudica come delegato della dominante. Il podestà, o il suo vicario, deve giudicare la causa appellata secondo lo statuto di Bergamo. La causa d'appello non può essere commessa a nessuno, anche se questa è la volontà delle parti, eccettuato un giudice del collegio dei giudici di Bergamo. La durata della causa d'appello non può superare i venti giorni utili. Le sentenze d'appello del podestà sono inappellabili per cause inferiori ai ducati 10; per cause il cui valore è compreso tra i 10 e i 30 ducati, è possibile ricorrere agli auditori nuovi, quando questi si trovano a giudicare nella città di Bergamo; per cause superiori ai ducati 30, infine, è possibile appellarsi agli auditori nuovi in Venezia, o agli altri magistrati competenti.
La durata del secondo appello non può essere superiore ai venticinque giorni utili, cosicchè i tre gradi di giudizio devono esaurirsi entro il termine di ottantacinque giorni utili, salvo i giorni destinati alla presentazione dell'appello.
E' doveroso ricordare che, anche se la procedura ora descritta appare esatta, anche alla luce di ciò che avviene per le cause in materia daziaria, esiste una relazione del podestà Nicolò Donato, datata 27 novembre 1627, nella quale viene descritta una procedura diversa: il giudice alla ragione e dazi giudica in primo grado, mentre "…le appellationi de' Vicario , Giudice della Ragion, et Consoli di Giustizia, vano tutte in appellatione al Collegio de' Dottori, di quali li litiganti ne nominano con bollettini segreti uno per parte al Vicario fino a chè incontrano in unistesso, et quasto giudica l'appellatione, et se lauda resta la sentenza inappellabilmente confirmata. Può anco ogni litigante a suo beneplacito dimandar consiglio de' Savio, che è fatto nell'istesso modo elegger dal Vicario un dottore che vede le scritture et ascolti le parti, et perché non ha l'autorità di giudicare, consiglia il Giudice di prima istanza a giudicare secondo il suo parere; onde il Giudice ordinario non fa altro che interponervi la sua autorià, ma questo non si usa con il Podestà, ma in luoco di questo le parti le fanno istanza di delegare le loro cause ad altro giudice di prima istanza e da queste delegazioni è prohibito l'appellarsi. Et di tutti questi giudici viene dalla Bina et Consiglio deputati li nodari et coadiutori".
Piuttosto complessa è la procedura di giudizio per quanto riguarda la materia daziaria. Le cause di gran lunga più frequenti vedono i conduttori dei dazi, cioè coloro i quali hanno preso in appalto la riscossione di un determinato dazio, o i governatori dei dazi, pubblici funzionari preposti alla riscossione per conto della camera fiscale di un dazio rimasto inappaltato, accusare mercanti, trasportatori di merci o semplici cittadini, di non aver voluto pagare il dazio dovuto o di averne pagato solo una parte. Se la causa riguarda i dazi cosiddetti "vecchi", cioè istituiti con il "contractus daciorum" del 1431, viene giudicata in prima istanza dal giudice alla ragione e dazi e in appello dal podestà; per quanto riguarda i dazi "nuovi", cioè istituiti dopo il 1431, in prima istanza è chiamato a giudicare il camerlengo, i rettori in appello. E' eventualmente possibile ottenere un giudizio di terzo grado rivolgendosi alle competenti magistrature della Dominante, cioè ai governatori delle entrate pubbliche in zecca, o ai revisori e regolatori dei dazi(8).
Più complessa è la procedura nelle cause di contrabbando, tenendo presente che il termine identifica sia il reato che la merce oggetto dello stesso: dazieri, postieri e governatori dei dazi devono presentare le loro accuse al giudice alla ragione e dazi o al camerlengo entro tre giorni dalla scoperta del contrabbando, mentre delle merci eventualmente confiscate deve essere data nota analitica, al giudice alla ragione e dazi o al camerlengo, entro un giorno dal sequestro, per le merci confiscate in città e circondario, o tre giorni per quelle sequestrate nel territorio(9).
In tali casi il processo vero e proprio è preceduto da una fase preliminare operata dal giudice alla ragione e dazi o dal camerlengo assieme all'avvocato e al procuratore fiscale, i quali istruiscono, in un secondo momento, il processo, celebrato dal podestà. Anche in questi casi è possibile ricorrere alle competenti magistrature veneziane: in particolare al collegio dei dieci savi del corpo del senato, mentre anche i cinque savi alla mercanzia e i provveditori sopra i dazi ha l'autorità di inquisire nelle cause di contrabbando. Probabilmente la procedura ora delineata è seguita anche nelle cause in materia daziaria in cui la città adisce contro i daziari insolventi.
In caso di assenza o di indisponibilità del giudice alla ragione e dazi, per quanto riguarda la materia civile, il suo ufficio può essere retto indistintintamente dal podestà, dal vicario pretorio, da un console di giustizia, dal giudice al maleficio e da un giudice del collegio dei giuristi; per quanto attiene alla materia daziaria il solo podestà può sostituirlo.
I conduttori dell'ufficio del giudice alla ragione e dazi, la cui gestione è appaltata dal comune, sono notai eletti dal consiglio maggiore della città tra quanti hanno presentato la propria candidatura e generalmente a loro spetta la materiale redazione delle singole parti processuali(10).
Il fatto che il comune fosse titolare degli uffici giudiziari potrebbe spiegare la presenza presso un archivio comunale di atti di magistrature di nomina veneziana.
Assai analitici e dettagliati sono i tariffari previsti per gli atti espletati dal giudice alla ragione e dazi e dal notaio principale del suo ufficio, importanti in quanto le spese processuali, che sono in un primo momento sostenute dall'accusatore, vengono attribuite, dopo la sentenza, alla parte soccombente.
Non ci si trova, però, di fronte ad un'ordinata raccolta di fascicoli processuali, bensì ad un insieme apparentemente disorganico di atti singoli: sorge allora il problema di dare una spiegazione alla conservazione stessa degli atti; nell'impossibilità di comprendere con sicurezza la questione è giocoforza rimanere nel campo delle ipotesi. Si può ragionevolmente affermare che alla base della conservazione dei singoli atti coincidano sia esigenze amministrativo − contabili che motivazioni più strettamente legate alla loro natura giuridica. I notai di ogni ufficio giudiziario, tranne quelli del giudice al maleficio, hanno l'obbligo di consegnare gli atti da loro registrati alla cancelleria del comune, al duplice scopo di permettere di effettuarne copie e di rendere possibile il riscontro tra gli atti stessi e le somme incamerate dall'ufficio per la loro registrazione, riscontro che viene effettivamente svolto da un deputato eletto dal consiglio (si veda a questo proposito la serie "Relazioni").
E' assai probabile che i fascicoli processuali venissero conservati dalle parti in causa, come è possibile verificare dallo studio di alcuni archivi famigliari, e forse dallo stesso giudice.
La tipologia degli atti è molto complessa e molto lungo sarebbe analizzare dettagliatamente la loro natura; si rimanda, quindi, per una loro dettagliata analisi, a dizionari giuridici coevi e contemporanei.
1 L'opera di riunificazione delle serie è andata di pari passo con la parziale sistemazione di una parte dell'archivio non ordinata; il risultato è stato un considerevole incremento delle unità archivistiche (circa 150 unità) e, talvolta, della loro consistenza.
2 Cfr. C. Storti Storchi (a cura di ), "Lo statuto di Bergamo del 1331", Milano, 1986, pp. 90−91.
3 Cfr. G. Cozzi, "La politica del diritto nella Repubblica di Venezia", in "Stato, società e giustizia nella Repubblica Veneta (sec. XV−XVIII)" a cura di G. Cozzi, Roma, vol. I, 1980, p.103
4 G. Morari, "Pratica de' Reggimenti di Terraferma", Padova, 1780
5 Cfr. G. Cozzi, "La politica del diritto…", cit.
6 Cfr. B. Riccio (a cura di ), "Statuta Bergomi", Bergamo 1727.
7 Cfr. A Tagliaferri (a cura di), "Podestaria e Capitanato di Bergamo", Milano, 1978, (Relazioni dei Rettori Veneti in Terraferma, XII), pp. 448−449.
8 "L'archivio di Stato di Venezia. Indice generale, storico, descrittivo e analitico" a cura di A. Da Mosto, Roma, 1937, Tomo I.
9 Proclama a stampa del 1625 dicembre 20: "Ordini dell'Illustrissimo et Eccellentissimo signor Bertucci Contarini Inquisitor di qua del Menzo in materia dei datii". Proclamas a stampa del 1629 luglio 22 di Girolamo Corner, podestà, e Francesco Soranzo, capitano.
10 Cfr. "Contractus Datiorum Bergomi. Cur. Paolo Zanchi", Brescia, 1575
Codici identificativi:
- MIBA002FA7 (PLAIN) | Annotazioni: Verificato il 18/10/2013
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