Consiglio comunitativo
Il 1771 è l’anno in cui il ministro per gli Affari di Sardegna, Giovanni Battista Lorenzo Bogino, promulgò una riforma istituzionale che riassestò l’organizzazione amministrativa del Regno. L’editto, attraverso cui si mise in essere la riforma, fu emanato il 24 settembre e determinò fondamentali novità per la struttura amministrativa, in particolare, delle ville infeudate che, sino ad allora, non avevano un organo di rappresentanza istituzionale. La riforma, invece, istituì in ogni villa un Consiglio comunitativo, in sostituzione delle antiche assemblee dei capifamiglia che si radunavano nelle piazze con procedimenti consuetudinari e informali. Con la riforma del 1771 si stabiliva che in ogni villa di almeno 40 fuochi o famiglie si dovesse insediare un Consiglio comunitativo, di nomina elettiva e con precisi requisiti di ordine anagrafico (età) e morale. Il numero dei consiglieri variava in rapporto alla consistenza demografica delle ville. Le competenze del Consiglio erano svariate, dalla tutela dei beni comunali all’esazione delle quote di donativo, sino all’esecuzione di opere pubbliche. Ovviamente aveva potere di deliberare sulle varie questioni e l’editto prevedeva che il Consiglio organizzasse e conservasse un archivio, gestito dal segretario (artt. 29 e 37).
Il 21 maggio 1836 fu abolita la giurisdizione feudale, civile e criminale, nonché tutti i diritti ad essa connessi. Le ville vennero di fatto riscattate dai regnanti sabaudi pagando una generosa somma ai feudatari. Di fatto però i consigli comunitativi non vennero intaccati sino al 1847-1848. Nel novembre 1847, infatti, le istituzioni sarde avanzarono la proposta di una fusione perfetta con gli Stati di terraferma, rinunciando in tal modo definitivamente alle specificità del Regno, riconosciute sin dal governo catalano aragonese.
La scelta decretò definitivamente la fine del Regnum Sardiniae, con i privilegi sin allora almeno formalmente garantiti. Ciò comportò una radicale trasformazione istituzionale che pose termine ai particolarismi locali e alla distinzione tra comunità rurali (ville infeudate) e città regie.
Con il R. D. n. 295 del 7 ottobre 1848 fu varata la riforma della legge comunale e provinciale in Sardegna che, istituendo un nuovo ordinamento comunale valido per tutti i territori del Regno di Sardegna, rappresentò, di fatto, l’atto di nascita del Comune moderno nell’Isola.
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