Comitato provinciale della caccia
“Con decreto del ministro è costituito, in ciascuna provincia, il Comitato provinciale della caccia, organo del Ministero dell’agricoltura e delle foreste, con sede presso l’Ispettorato provinciale dell’agricoltura e con ordinamento autonomo […]”. Così inizia l’articolo 82 del Regio decreto 5 giugno 1939 che, istituì in quell’anno, ma con decorrenza dall’anno successivo, il nuovo ente, nominato appunto Comitato Provinciale della Caccia.
Esso ha avuto, fin dalla sua nascita, la peculiarità di dipendere in modo serrato dalle leggi in materia venatoria che, nel corso degli anni, ne hanno dettato la sua organizzazione interna, i suoi compiti, i suoi rapporti con altri enti. Le leggi quindi sono la principale fonte di studio per la definizione del breve ma intenso lavoro svolto dal Comitato provinciale della caccia di Brescia e così come dei Comitati di tutte le altre province d’Italia.
Il Comitato, sia centrale con sede a Roma sia quelli periferici con sede in ogni provincia, si può dire sia il naturale erede di quelle Commissioni venatorie (sia centrale che provinciali), costituite con il regio decreto del 3 agosto 1928, dipendenti dal Ministero dell’Economia Nazionale. “La Commissione centrale venatoria”, cita l’articolo 1 della suddetta legge, “[…] è l’organo di consulenza tecnica per la pubblica amministrazione per quanto riguarda l’applicazione della legge sulla caccia, ed ha il compito di dare parere sui provvedimenti da emanarsi dal Ministro dell’economia nazionale in materia venatoria come sopra ogni questione che, in ordine alla stessa, le verrà dal ministro deferita per esame”. L’articolo 81 del Regio decreto 5 giugno 1939 recita in tal senso “presso il Ministero dell’agricoltura e delle foreste è istituito il Comitato centrale della caccia, il quale ha il compito di dare parere sui provvedimenti da emanarsi in materia di caccia e su ogni questione che, in ordine alla stessa, gli verrà dal predetto ministero deferita per esame”. Come si può notare a parte il cambio di denominazioni, il Comitato ha fin dai suoi esordi le stesse funzioni della vecchia Commissione.
L’organizzazione interna dei primi comitati provinciali della caccia, la scelta dei suoi membri, la durata della loro carica, furono stabiliti dal decreto. Il Comitato, che al tempo doveva trovare sede presso il rispettivo Ispettorato provinciale dell’agricoltura, era così composto: la carica di presidenza spettava al capo dell’Ispettorato stesso, il presidente della sezione provinciale della Federazione Italiana della caccia occupava il posto di vice-presidente, e una serie di membri rappresentanti il mondo venatorio, l’ambiente agricolo e zoologico, il settore dell’ordine e della vigilanza (era presente un esponente della Milizia Nazionale Fascista) facevano da cornice e ossatura allo stesso tempo. Il comitato così costituito doveva poi eleggere il proprio segretario. I membri potevano restare in carica tre anni al termine dei quali era possibile la loro riconferma. Fra i principali compiti del comitato, anch’essi precisamente delineati nel decreto legge, vi erano quello della vigilanza e della propaganda delle norme venatorie, quello della gestione del ripopolamento della selvaggina, e quello di dare pareri o fare proposte al ministero in merito a questioni e problematiche in materia di caccia. Il comitato, pur essendo, come già precedentemente detto, un organismo autonomo, si presentava di fatto costantemente vincolato da rapporti con altri enti (spesso così lontani dalle problematiche precipue di ogni singola provincia), primo fra tutti il Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste; organizzazione, questa, in linea con l’iper-centralismo del periodo storico che si stava vivendo.
Un cambiamento sostanziale nella organizzazione del comitato fu il D.P.R. del 10 giugno 1955 n. 987 sul “Decentramento di servizi del Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste”. Esso caratterizzò una nuova strutturazione del Comitato provinciale della caccia (che continuò ad esistere con questo nome) all’insegna di una capacità decisionale più immediata ed efficace, dettata proprio dal decentramento dei servizi alle Province, le quali assunsero gran parte di quelle facoltà in materia di caccia che prima erano di esclusiva competenza ministeriale. “Con provvedimenti del presidente della Giunta provinciale è costituito in ciascuna provincia il Comitato provinciale della caccia, organo della provincia, con ordinamento autonomo” si indica nell’articolo 37. L’impostazione della composizione dei membri e dei compiti del nuovo comitato provinciale è all’apparenza simile a quella del 1940. Ora però il presidente è un consigliere provinciale e manca ovviamente quel rappresentante della Milizia Nazionale Fascista, non sostituito da alcun componente del mondo della vigilanza. Anche i compiti proposti nel nuovo decreto presidenziale ripercorrono la vecchia impostazione: vigilanza e propaganda delle disposizioni in materia venatoria, gestione del ripopolamento della selvaggina stanziale, pareri su concessioni e revoche di bandite e riserve di caccia, costituzione di zone di ripopolamento e cattura, pubblicazione del calendario venatorio, controllo e repressione degli abusi in materia di caccia e di uccellagione, anche mediante l’utilizzo di apposite guardie. Complessivamente si può dire che le funzioni del comitato restarono ancora prevalentemente consultive con la sola variante che dal 1955, però, a dare le direttive fu il presidente della Giunta provinciale, un ente perciò assai più vicino al territorio, oggetto di analisi, gestione e tutela, che non quel remoto Comitato centrale della caccia con sede nella capitale. Dal 1955 incominciò così quel lungo periodo di lavoro collaborativo tra i comitati provinciali della caccia e le Province di tutta Italia che durò oltre un ventennio fino alla cessazione dei comitati e all’assunzione di tutti i loro compiti da parte delle Province stesse. Collaborazione questa coadiuvata anche dalla scelta della sede del comitato che doveva essere proprio presso l’Amministrazione provinciale e dal funzionamento dei servizi di cassa e di revisione dei conti affidati rispettivamente alla tesoreria ed a un funzionario dell’Amministrazione stessa.
La legge 2 agosto 1967, n. 799, ampliò le facoltà del Comitato conferendogli “compiti di più vasto respiro nella stessa sfera decisionale” (1) così come recita una relazione del segretario del Comitato provinciale della caccia di Brescia sul servizio di sorveglianza, riferendosi proprio alla legge in questione. Il Comitato (il cui presidente poteva essere o lo stesso presidente della Giunta Provinciale o un consigliere da lui delegato) poteva da quel momento, per esempio, deliberare in materia di concessione o revoca di bandite e riserve senza fermarsi al solo parere, dato, in precedenza, al Ministero e alla Provincia. La legge del 1967 istituì anche il nuovo regime di caccia controllata (esercizio venatorio soggetto a limitazioni di tempo, di luogo, di specie, di numero di capi di selvaggina stanziale protetta da abbattere) possibile in molte zone d’Italia ma obbligatorio nella zona delle Alpi (soggetta a controllo territoriale del Comitato provinciale della caccia di Brescia). Il regime era di gestione e vigilanza diretta del Comitato e questo portò a maggiori incombenze di sorveglianza da parte di questo organismo.
Nel 1977, per opera del D.P.R. 24 luglio, n. 616, moltissime funzioni vennero delegate dallo Stato alle Regioni, le quali poterono da quel momento legiferare autonomamente in svariate materie, fra cui anche quella venatoria, con facoltà di sub-delegare l’esercizio di alcune attività a Province ed ad altri enti locali, e di sopprimere o istituire altri organismi preposti al funzionamento di una delle materie oggetto d’analisi nel decreto. I principi fondamentali ai quali dovettero attenersi le Regioni nell’emanazione delle proprie leggi venatorie furono però racchiusi nella più importante legge sulla caccia di quello stesso anno, la legge 27 dicembre 1977, n. 968, anche se, per quanto concernette la vita operativa dei comitati provinciali della caccia lombardi, essa fu di poco interesse poiché già con la Legge Regionale del 21 giugno 1977, n. 28 (“Norme per la protezione e la tutela della fauna e la disciplina dell’esercizio venatorio”) la Regione Lombardia, così come molte altre Regioni nello stesso anno, ai sensi dell’art. 117 della Costituzione Italiana, decideva della loro sorte: “Le funzioni amministrative in materia di caccia sono delegate alle Province […]. Le funzioni delegate dalla presente legge alle province sono da esse esercitate a partire dal 1° gennaio 1978. Fino al 31 dicembre 1977 tali funzioni sono svolte dai comitati provinciali della caccia che vengono soppressi in pari data con trasferimento alla provincia del patrimonio e del personale” recitano gli articoli 3 e 46 della legge regionale suddetta, accennando ai compiti che avrebbero assunto le Province. La Regione Lombardia di fatto anticipò di poco il destino dei propri comitati poiché, di lì a pochi mesi, la già citata legge 27 dicembre 1977, n. 968 definì in modo inequivocabile la sorte dei comitati provinciali della caccia di tutta Italia, imponendo a tutte le Regioni l’adeguamento alle sue prescrizioni: “Le Regioni, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, emanano le norme in materia […]. I dipendenti dei comitati provinciali caccia […] passano ad ogni effetto giuridico ed economico alle dipendenze delle amministrazioni provinciali” (artt. 34 e 37).
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Fonti bibliografiche
G. Finadri, L. Leporati, M. Spagnesi, Analisi ecologica e faunistico-venatoria della provincia di Brescia: lineamenti per una pianificazione, Brescia 1975;
C. Sabatti, La caccia nel Bresciano dagli albori della storia alla metà del ‘900, Com&Print, Brescia 2002, p. 138-151;
Federazione Italiana della Caccia, La caccia: tutela dell’ambiente, legislazione e tecnica venatoria, Dero-Vallardi Edizioni periodiche, Roma 1979, pp. 373-391.
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Fonti legislative
R.D. 3 agosto 1928, n. 1997, “Riforma della legislazione sulla caccia”;
R.D. 5 giugno 1939, n. 1016, “Testo unico delle norme per la protezione della selvaggina e per l’esercizio della caccia”;
D.P.R. 10 giugno 1955 n. 987, “Decentramento di servizi del Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste”;
L. 2 agosto 1967, n. 799, “Modifiche al testo unico delle norme per la protezione della selvaggina e per l’esercizio della caccia, approvato con regio decreto 5 giugno 1939, n. 1016 e successive modifiche”;
D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, “Attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382”;
L.R. 21 giugno 1977 n. 28, “Norme per la protezione e la tutela della fauna e la disciplina dell’esercizio venatorio”;
L. 27 dicembre 1977 n. 968, “Principi generali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e la disciplina della caccia”.
Soggetti produttori
- Comitato provinciale della caccia di Brescia 1940 - 1977
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