Comune di Romano di Lombardia ( sec. XII - )

Tipologia: Ente

Tipologia ente: Ente pubblico territoriale

Sede: Romano di Lombardia

Codici identificativi

  • MIDB0001FA (PLAIN) [Verificato il 22/10/2013]

Profilo storico / Biografia

Dell’antico insediamento di Romano si ha notizia già in epoca romana, quando era denominato “Foro Romanum”. In epoca medievale le prime menzioni sono del secolo X. Nei secoli posteriori i documenti relativi al borgo diventano ovviamente più numerosi e spesso più significativi storicamente, come la sentenza, del 14 ottobre 1148, del cardinale Guidone da Somma, incaricato da papa Eugenio III di risolvere la controversia tra i vescovi di Bergamo e di Cremona riguardo i confini delle rispettive diocesi in Romano. Da questo documento risulta anche che Romano aveva quattro porte “…che, come nella nostra città [Bergamo], servivano ad indicare non solo una divisione interna del corpo principale delle abitazioni, ma anche una partizione del territorio circostante al villaggio murato”; la sentenza stabilì che tre parti fossero assoggettate alla pieve di Calcio, della diocesi di Cremona, e la parte settentrionale alla pieve di Ghisalba, della diocesi di Bergamo.
Altri documenti riguardanti la medesima questione datano al 5 settembre 1163 e 14 gennaio 1164; ancora in una carta cremonese del 4 novembre 1169 sono testimoniate contese tra i due vescovadi sempre per il menzionato motivo. Un atto di vendita del 1152 accenna al “Castrum”, informandoci così che il borgo era fortificato.
Romano venne distrutto, secondo il Sigonio e il Celestino, da Federico Barbarossa nel 1170. Questa datazione del fatto venne ritenuta poco plausibile già dal Ronchetti: “…dacchè sappiamo di certo, che partitosi egli [Federico] d’Italia nell’anno scorso 1168 non la rividde se non nel 1174…”; e tal proposito il Muoni osservò che “Forse per equivoco si attribuì a Federico ciò che in sua assenza e a nome suo compivasi da chi ne teneva le veci”. L’ipotesi più verosimile, accennata dal Muoni stesso e sostenuta dal Belotti, è che tale devastazione fosse avvenuta nel 1167 durante la reazione del Barbarossa nei confronti delle città che formarono la Lega Lombarda.
Romano venne riedificato nel 1171 su un territorio situato più ad occidente rispetto al vecchio insediamento, donato alla comunità dai consoli di Bergamo. Quest’area è posta all’incrocio di due importanti vie di comunicazione: una che collegava (e collega tuttora) Bergamo con Cremona, l’altra Milano con Brescia. Tale donazione ebbe lo scopo di sottrarre quel territorio dalle pretese dei cremonesi e dei milanesi. L’atto, redatto a Bergamo il 1 febbraio 1171, concedeva a Romano il privilegio di essere considerato borgo della città, di usufruire dei benefici e delle franchigie che tale condizione comportava e di avere un mercato settimanale, in cambio di un giuramento di fedeltà a Bergamo (giuramento prestato da tutti coloro che avessero età maggiore di quattordici anni). In tal modo Romano ottenne la dignità di borgo franco, insieme a soli altri due paesi del bergamasco in quel secolo. Ma, accanto a questo nuovo insediamento, sopravvisse almeno per oltre un decennio anche quello vecchio, tant’è che il capitolo XX della pace di Costanza, stipulata nel 25 giugno 1183, concedeva ai milanesi la giurisdizione di diversi territori, tranne dei luoghi spettanti a Bergamo “et excepto Romano Veteri…”.
Dalla sua fondazione, Romano seguì le sorti di Bergamo. Nel 1191 subì una violenta occupazione da parte dei milanesi, che erano alleati dei bresciani in guerra con i bergamaschi per i confini dei rispettivi territori nella zona a nord del lago di Iseo.
Nell’ambito delle lotte fra guelfi e ghibellini, testimoniate in Bergamo dal 1329, Romano parteggiò per le famiglie della fazione ghibellina. In queste contese le famiglie bergamasche si allearono spesso con le città limitrofe (ovviamente governate in quel momento da fazioni amiche), sicchè Romano, in virtù della sua posizione geografica di confine, si trovò più volte coinvolto in fatti d’arme.
Nel mese di maggio del 1267 in Romano fu stipulata la pace tra Bergamo, alleata con Milano e Brescia, e Cremona. Il borgo venne occupato per breve tempo nel 1301 (dal 3 luglio al 18 settembre) dai cremonesi, con i cremaschi e i lodigiani, alleatisi con le famiglie guelfe Rivolta e Bonghi in lotta con le rivali ghibelline Colleoni e Suardi. Nel 1320 il borgo subì un’altra occupazione dei guelfi cremaschi e bergamaschi e nel 1321 dovette stipulare una pace con la città di Bergamo; la documentazione relativa, conservata in codesto archivio, sembra essere sconosciuta agli studiosi: non viene difatti menzionata dal Belotti né dagli storici precedenti (Ronchetti, Calvi, Celestino, Mazzi, Muoni).
Nel 1327 l’imperatore Ludovico il Bavaro assegnò Romano (oltre ad altri territori bergamaschi) in feudo a Vincenzo Suardi detto Saiguino.
Nell’ottobre del 1335, dopo alcuni mesi di occupazione della famiglia Colleoni, il borgo passò sotto il dominio di Azzone Visconti (già signore di Bergamo dal 1332), che vi fece costruire la rocca(25). Ad Azzone, deceduto il 16 agosto 1339, subentrarono i suoi zii Giovanni e Luchino Visconti, i quali il 15 ottobre dello stesso anno concedettero a Romano la giurisdizione civile separata da Bergamo, lo esentarono da varie tasse, concessero la conduzione autonoma dei dazi (secondo le modalità in uso a Bergamo) e nominarono come loro rappresentante in loco un vicario o podestà. Questo privilegio fu riconfermato dagli stessi il 24 marzo 1341 e da Gian Galeazzo Visconti il 28 luglio 1385.
Nel 1408 Pandolfo Malatesta fu riconosciuto signore di Bergamo dal duca Giovanni Maria Visconti ed esercitò il dominio su Romano dal gennaio successivo sino al 1412, con podestà da lui designati e concedendo generose esenzioni.
A Giovanni Maria, deceduto nel 1412, successe il fratello duca Filippo Maria Visconti, per ordine del quale il condottiero Facino Cane ricondusse sotto il dominio milanese diversi territori, tra cui Romano.
Il duca concesse quindi il borgo in feudo al conte Giacomo di Covo (22 gennaio 1413) e tale investitura venne confermata agli eredi di Giacomo (15 febbraio 1422).
Nel 1428, con la pace di Ferrara, Romano fu assoggettato alla repubblica di Venezia, la quale confermò al comune sia i privilegi goduti in precedenza, sia gli statuti.
Non è possibile stabilire quando Romano ebbe il suo primo corpo statutario: sotto il dominio visconteo doveva sottostare alle norme statutarie di Bergamo, che però in tale periodo prevedevano un regime speciale per le valli e per i principali centri della pianura (tra cui ovviamente Romano); ma dal contenuto di due lettere (una di Carlo Visconti del 1368 e una di Gian Galeazzo del 1399), riportate negli statuti del 1427, si potrebbe ipotizzare l’esistenza di uno statuto autonomo del comune.
Romano, comunque, ebbe certamente un suo statuto dal 1410, durante la signoria dei Malatesta, e con la signoria dei conti di Covo acquistò anche l’autonomia giudiziaria in materia criminale. Il corpo statutario conosciuto è quello retificato nel 1427 dal conte Giovanni di Covo, approvato quindi da Venezia e modificato successivamente secondo le mutate esigenze del governo del comune e della Serenissima.
Tra i privilegi che la repubblica veneta concesse a Romano è da rilevare il “merum et mixtum imperium”, cioè la facoltà di amministrare la giustizia in ogni grado, nonchè la “Gladii potestatem”, cioè la possibilità di comminare la pena di morte.
L’amministrazione della giustizia nel borgo competeva al podestà e provveditore, eletto dal senato veneto, che lo sceglieva tra i nobili veneziani, il cui incarico durava trentadue mesi. L’eletto sceglieva personalmente un cancelliere e un cavaliere, o luogotenente, che lo coadiuvassero nell’esercizio del suo ufficio.
Nel 1441 la Repubblica concesse Romano in feudo a Bartolomeo Colleoni, il quale però dopo due anni abbandonò Venezia per servire il ducato di Milano. Da quel momento il condottiero prestò i suoi servigi alternativamente per i Visconti, gli Sforza e Venezia, ritornando diverse volte in possesso del borgo per breve tempo e, nel 1453, come feudatario investito dal duca Francesco Sforza; dal 1454 si rimise al servizio della repubblica veneta la quale gli concesse il possesso della rocca e, nel 1465, nuovamente la giurisdizione feudale.
Dalla morte del Colleoni (2 novembre 1475) Romano fu assoggettata definitivamente al dominio di Venezia, che, due anni più tardi, sancirà il completo distacco del comune dalla città di Bergamo, demandando ai rettori di Brescia il controllo del governo del comune e l’amministrazione della giustizia in appello.
Romano divenne così una podesteria che, in virtù dei privilegi ottenuti, riuscì a mantenere la sua indipenza, difendendosi spesso in sede giudiziaria dalle mire espansionistiche di Bergamo.
Il territorio era incluso nella quadra di Calcinate, ma formava corpo separato e aveva un proprio deputato presso il consiglio generale del Territorio.
Questa condizione, tranne la breve parentesi dell’occupazione francese, dal 1509 al 1512, durò fino all’arrivo di Napoleone in Italia; quindi, il comune aderì alla repubblica Cisalpina, annesso amministrativamente al dipartimento del Serio.
L’organizzazione amministrativa del comune faceva capo al consiglio generale dei capofamiglia, l’organo che eleggeva il consiglio speciale (o di credenza) composto inizialmente da 24 membri che aveva il compito di deliberare per le normali esigenze della comunità. Questi due organismi dettavano le norme per la conduzione degli uffici comunali, della Misericordia ed inoltre nominavano annualmente i vari ufficiali del comune (cancelliere, notai, campari, ragionati, consoli, sindaci, etc.) e gli amministratori della Misericordia. Alcune di queste cariche (tesoriere del comune, custodi alle porte e ai “rastrelli”, il tesoriere della Misericordia e dei chiericati) vennero però in seguito messe all’incanto. A questi due consigli si affiancava quello di bina, formato dai 4 consoli, un podestà e due sindaci, che col tempo assunse maggiore autorità finchè nella seconda metà del secolo XVIII divenne il principale organismo amministrativo del comune.
L’economia locale era prevalentemente basata sul commercio, che aveva come cardine i mercati che si tenevano tre volte alla settimana per decreto della seguente nota: “il mercato si fa trei volte la settimana il lunedì, mercoledì e venerdì; suplisse i bisogni non solo della terra ma del territorio di Bergomo conducendosi per i più in ogni mercato 300 some di formento et altri grani dal Cremasco, Cremonese, Bressano et Gera d’Adda et altri luoghi circumvicini toccanti il territorio di Rumano; (…) la maggiore parte dei traffichi è de grani et ferarezze che nel Stato di Milano et di Piamonte si dispensano”. L’importanza del mercato agricolo perdura nel tempo, come testimonia il Formaleoni: “celebri sono i suoi mercati di biade (…) ed è osservabile che i prezzi di tutti i grani di questi mercati danno norma e regola ai Calmieri delle farine nel rimanente della Provincia”. Nei giorni di mercato sul palazzo comunale veniva issato lo stendardo del comune ciò si evince dal contenuto di una deliberazione del consiglio di bina del 3 settembre 1724, inerente al rifacimento di “una nuova bandiera (…) con la dipinta dell’impresa solita di San Marco e di questa Spettabile Comunità”.
Scarsa, invece, risultava la produzione agricola verso la fine del cinquecento: “Raccolti per sei o otto mesi dell’anno formenti migli e vini.”, ci informa il Da Lezze, che però aggiunge: “[Romano] (…) non ha terreno se non poco et quel poco anche cativo et freddo…”. Oltre ciò si deve considerare che “Rumano non ha donativi da Sua Serenità de campagne, o pascoli, o boschi, o altri simili beni comunali, o ossentioni, o limitationi come sogliono haver quasi tutti gli altri comuni da quali se ne possa cavare entrata o frutto.”. Inoltre il territorio “…è grandissimamente danneggiato dalle inondationi e ruine del fiume Serio, che per tale rispetto si ha una continua grossa spesa per dover repararsi.”.
L’unica fonte di ricchezza in quel periodo è dunque il commercio e nel boro “…non vi sono faccoltà grosse ma che comodamente vivono…”.
La situazione appare complessivamente migliore nella descrizione fornita da Formaleoni circa due secoli più tardi :“[Romano] di dentro è ornato di buone fabbriche e di fuori le sue campagne sono assai abbondanti d’acque e fertili perciò di grani. (…) Dirò soltanto che oggidì è in uno stato florido, e pel suo commerzio, ricchezze, e popolazione è uno de’ Luoghi più considerabile dopo la Capitale.”.
Nel borgo vi erano quattro chiese, “…una parochiale sotto il titolo di S.ta Maria et Iacomo, della quale ha iuspatronato la comonità, è officiata da sette sacerdoti due de quali sono curati, con l’entrata in vitta de L. 1.000 per uno et i capelani sono a piacimento della comunità, compreso li incerti; l’altra sotto il titolo di S.to Deffendo voto della comunità e senza entrata; la terza S.ta Maria della Misericordia di Rumano di frati di S.to Agostino, eremitani osservanti con scudi 100 d’entrada con sette frati; la quarta S.to Pietro de Capucini fabricata di novo fuori della terra e nel poco teritorio vo sono da dieci capelette per devotione. La misericordia governata dal Consilio della comunità eleggendo quattro ministri ogn’anno. (…) Quatro scole: del Corpus Domini, S.ta Trinità, Rosario, senza intrata, de Censurati senza entrata ancor essa, ma le prime due hanno L. 1098”. Nella relazione il Da Lezze non spiega il fatto che la parrocchia, come riportato negli atti della visita apostolica di S. Carlo Borromeo del 1575, “habet duas portiones, asseriturque iuris patronatus communitatis et dd. co. Martinenghum seorsum tantum”. Similmente espone il Formaleoni: “…due Preposti in una sola parocchia sotto il titolo di S. Maria Assonta subordinata alla Pieve di Ghisalba. Uno de’ sudetti Preposti è presentato al vescovo da una delle Famiglie Martinengo, e l’altro dal Comune stesso”.
La vertenza tra il comune e la famiglia dei conti Martinengo Colleoni per il diritto di nomina del parroco (giuspatronato concesso da papa Sisto IV il 23 giugno 1474 alla comunità) iniziò cogli eredi di Bartolomeo Colleoni, subito dopo la morte di questi, e terminò ben oltre la fine della repubblica veneta, con esito favorevole ai Martinengo Colleoni.
Un’ulteriore informazione sulla chiesa parrocchiale si rileva dal Ronchetti, il quale riporta che nel 1363 il vescovo di Bergamo, Lanfranco, concesse indulgenze a chi avesse promosso o finanziato opere di manutenzione, ristrutturazione e abbellimento dell’edificio (indulto concesso anche ad altre chiese del bergamasco).
Per accedere al comune vi erano tre porte: “de sera” verso Bergamo, “de mane” verso Brescia e “de sotto” verso Crema. Le porte e le mura vennero abbattute nel secolo scorso (i lavori durarono dal 1821 al 1825); il loro perimetro è ancora facilmente rilevabile in quanto è stato mantenuto chiaramente visibile il tracciato del fossato (e per un breve tratto anche il fossato stesso) che le circondava, inoltre la attuale strada di circonvallazione segue questo percorso.
Il territorio del comune, che dista Km. 25 dalla città di Bergamo, è situato in pianura sulla sponda sinistra del Serio e confina con i comuni di Martinengo, Corte Nuova, Covo, mentre il fiume Serio lo separa da Bariano e mantiene pressoché inalterati i limiti territoriale che lo delimitavano in antico regime.

Complessi archivistici