Fiocchi, Giulio ( 1893 dicembre 23 - 1973 gennaio 21 )

Tipologia: Persona

Codici identificativi

  • MIDC000A03 (PLAIN) [Verificato il 22/10/2013]

Profilo storico / Biografia

Giulio Fiocchi jr nacque il 23 dicembre 1893 a Lecco, quarto degli otto figli di Giulio senior (1851-1916) e Giuseppina (Pinetta) Cantù (1868-1924).
Completati gli studi superiori al Liceo classico Beccaria di Milano, dove avevano studiato anche i suoi fratelli, si iscrisse alla Facoltà di Legge di Padova, ma si laureò a Genova nel 1917.
Interventista come i suoi familiari, nel 1915 venne richiamato alle armi e partecipò alla Prima guerra mondiale, così come i suoi fratelli Piero, Carlo, Giacomo (Mino) e Lodovico (Vico).
Il 3 luglio 1916, a pochi giorni dalla morte del padre occorsa il 20 giugno, Giulio Fiocchi venne ferito gravemente ad un polmone, durante una violenta azione sul Carso nei pressi di Monfalcone e solo il 12 luglio poté inviare alla famiglia notizie rassicuranti sul proprio stato di salute:
“Oggi finalmente, dopo otto giorni di immobilità – fame e sete scrupolosamente insoddisfatte – vengo mandato a un ospedale di, non lo so ancora, ma ve lo scriverò. So che la mi attendono da due giorni Piero e la Hilda (1).
Ho preso anche il primo brodo al vero Liebig. Faccio già col busto dei movimenti al vero tango.
Vi scriverò domani e sempre e così sia -
Gli alleati ànno cominciato la grande danza d’assieme con primi movimenti al vero tango.
Giulio” (2).
Trasferito dapprima in un Ospedale da campo in zona di guerra, poi a Verona, gli venne infine concesso di rientrare in famiglia, presso la quale trascorse il periodo di convalescenza, tra Lecco, Milano e Celle Ligure.
Alla metà di febbraio del 1917 riprese servizio con profondo turbamento della madre:
“Caro il mio Giulio
tu sei partito per il fronte un’altra volta, senza ch’io potessi abbracciarti, ed io non posso che inviarti il mio bacio spirituale, benedicendo.
Tu, che per mio desiderio sei stato chiamato Giulio, porterai ancora questo nome sacro alla nostra famiglia, fatidico per la nostra Patria, attraverso a mille pericoli a mille emozioni, e me lo riporterai più bello ancora, ancor più venerato dopo quest’ultima prova! Tu sei il nostro campione, la nostra bandiera, e su te, immensamente caro, al […] è provato, dacché è cominciata questa guerra la massa di tutti i sacrifici!… Che tu li possa compiere con quella serenità che ti distingue, segno certo della fortezza dell’animo tuo! In questi gravi giorni per la nostra patria, in cui il cuore è tutto un tumulto, le parole non hanno più senso, sono superflue e tu mi comprendi, io ti vedo, ti guardo in fondo agli occhi come se tu fossi qui… e tu mi comprendi!… Che il Signore ti sia sempre vicino come per il passato! La tua mamma” (3).
Temporaneamente distaccato e impiegato nell’addestramento delle reclute, durante un’esercitazione a Magreglio, subì una nuova ferita, questa volta all’arteria femorale, provocata dalla scheggia di una bomba a mano esplosa accidentalmente. L’episodio, presto superato, non gli impedì di tornare nuovamente in prima linea entro l’autunno con il grado di capitano.
Nel giugno 1918, durante la durissima battaglia di Nervesa (4), mentre si attendeva l’avvicendamento delle truppe, venne ferito ancora lievemente alla gamba destra.
Il compito di fornire i dettagli dell’accaduto ai familiare fu affidato allora al suo attendente, Giulio Frediani:
“la sera del 19 andammo a prendere un poco i tedeschi per il collo e durante l’assalto il signor capitano rimase ferito leggermente a polpastro della gamba destra da una sgheggia ma non stiano in pensiero perché credino che non è niente di grave. E io che ero il suo attendente non lo abbandonai mai gli stavo sempre a suo fianco e durante l’assalto il signor capitano cantava e diceva dove il nemis e credino i suoi soldati nel vedere il suo capitano così coraggioso si faceva tante tigre sortite dalla gabbia e si avanza così bene da non potere descrivere e durante l’assalto il signor capitano rimase ferito nella gamba cuasi voleva andare avanti ancora ma io ero lì non volli perché avevo paura che gli rendesse danno alla sua piccola ferita e in fatti allora noi andammo in dietro e piano piano ci si condusse al posto di medicazione e li si medico e dopo di li si porto all’ospedaletto e credino che non e niente di grave perché voleva camminare dasse ma non si vorse e si porto fino al posto con una barella poi appena giunto all’ospedaletto lo rimedicarono e io sono sempre stato in sieme per fino che non lo mandaro via e era molto allegro e fumava come non fosse stato niente duncue credino sun la mia parola donore che non e niente di grave e appena una piccola sgheggina che gli foro il polpastro pero non gli e rimasta dentro entro e risorti duncue non ci e da stare per niente in pensiero e non soffre neppure tanto perché nel polpastro e un punto buono il soffrire è pochissimo duncue non stiano in pensiero perché non è niente” (5).
Di lì a pochi giorni, Giulio poteva infatti lasciare l’ospedale da campo per passare all’Ospedale militare di Bologna (6) e poi a quello di via Commenda a Milano.
Terminate le ostilità, il ritorno alla normalità dopo un’esperienza tanto traumatica, non poteva però essere indolore e per diversi mesi Giulio Fiocchi attraversò un periodo di profonda inquietudine.
“Cara mamma – quando ti ho abbracciato sulla soglia della Chiesa tu avevi gli occhi pieni di pianto. Ma più amaro è il pianto che ho io nell’anima e che non si vede – A te Dio concede il conforto delle lacrime perché tu nella vita hai saputo costruire ed amare -
A me non è concesso che il rimorso crudo ed asciutto per aver dissipato in due anni il passato di bontà di dolcezza e di dovere che mi avevano fabbricato con amore mio Padre e mia Madre – per aver bestemmiato per due anni i principi che mi avevano insegnato con l’esempio e che mi avevano dato le soddisfazioni più belle.
Io sono la spina piantata nel cuore di mia Madre delle mie sorelle e dei miei fratelli. Perché?
E vorrei invece essere il vostro aiuto.
E anch’io ti voglio bene come gli altri. Ma perché ti ho fatto tanto male in questi anni col mio ozio il mio mutismo e le mie contraddizioni?
Ma tu non devi più piangere per me – perché il poema d’amore che tu hai scritto nella tua vita santa e che ha conosciuto le spine – sarà coronato di fiori – Le lacrime che ti ha fatto spargere un figlio senza peccato ma scervellato ti saranno compensate e tuo figlio ritornerà guarito amoroso e fidente nella vita” (7).
La madre cercava di confortarlo, rassicurandolo del suo affetto ed esortandolo a nutrire una maggiore fiducia in se stesso:
“Dalla lettera che hai scritto a Maria, mi avvedo che sei già stanco di Roma. Non vorrei che ti fossi strapazzato troppo, stando alzato alla sera … non mi hai scritto nulla delle tue lezioni d’equitazione, vi hai rinunciato? Mi piacerebbe assai di sapere se realmente hai riacquistato le forze e se la tua testa non si sente più vuota. Hai smesso di fumare?”
e ancora:
“Mi spiace che ti passi ancora per la mente la fandonia, che tu non hai riportato in famiglia quella forza di volontà, che ti ha sorretto durante la guerra.
Ricordati, che in guerra, non il frutto dell’educazione ti ha fatto un prode, ma la tua stessa natura onesta ed entusiastica. Gran dono di Dio è la rettitudine dell’anima e tu tale dono possiedi, ma come si ereditano le buone qualità fisiche e morali così si ereditano i diffetti ed i gravi diffetti come le fissazioni, ed io che ho provato a non dar retta a tuo padre, quando mi persuadeva, che ero più forte e più sana di quanto mi ero fissata in mente di essere, quando, tante volte, mi voleva persuadere ed io per il mio craponismo e per la poca fiducia in me stessa, mi addoloravo e gli rendevo la vita molto meno lieta di quanto avrei dovuto e potuto, non agivo, che in seguito alle mie idee sbagliate. Il tempo a dato ragione a tuo padre, il tempo darà ragione a me, e tu farai bene a darmi retta” (8).
Intanto, la crisi sociale ed economica del dopoguerra, con la crescita dell’inflazione e l’aumento della disoccupazione, la sensazione della “vittoria mutila” e la paura del dilagare di idee socialiste negli anni del cosiddetto “biennio rosso”, lo sviluppo delle organizzazioni sindacali, il moltiplicarsi degli scioperi e delle occupazioni delle fabbriche spinse la famiglia Fiocchi a valutare positivamente l’ascesa al potere di Benito Mussolini, con la marcia su Roma e la successiva nomina a primo ministro da parte di Vittorio Emanuele III. Lo stesso Giulio Fiocchi salutava con entusiasmo l’avvento del duce:
“Gli italiani hanno vissuto la loro più grande ora storica da Vittorio veneto in qua – Mussolini!
E’ questo l’Uomo invocato?
Pare che sì. Le giornate di Napoli e di Roma cominciano una novella istoria – non soltanto per l’Italia ma anche per l’Europa.
Il fascismo è il più grande fenomeno del dopo guerra europeo – e sarà presto un fattore della storia Europea.
O, più esattamente, l’Italia, risanata e ricostrutta dal fascismo, sarà in un domani non lontano l’arbitra del rinnovamento politico e sociale europeo. E la rivoluzione fascista degli ultimi giorni d’ottobre passerà alla storia come la prima rivoluzione che invece di distruggere le istituzioni ne consolida le fondamenta.
Gloria al Re che con un gesto squisitamente costituzionale ha fatto sboccare la rivoluzione nella legalità” (9).
Sul piano professionale, intanto, Giulio Fiocchi, pur mantenendo la propria quota di partecipazione nella società di famiglia, aveva deciso di tentare una propria attività autonoma in Sardegna, a Bosa (Nuoro), dove aveva impiantato una tonnara per la pesca e la lavorazione del tonno. Anche per questa esperienza poté, come sempre, contare sul sostegno dei familiari e, in particolare dei fratelli maggiori, Carlo e Piero, che avevano ormai maturato una solida conoscenza delle dinamiche imprenditoriali e dei rischi industriali. L’iniziativa ebbe però breve vita: dopo la prima campagna del 1923, risoltasi “in un fiasco assoluto” (10), che lo spingeva a cedere in affitto gran parte dei materiali e un nuovo più modesto tentativo nella primavera 1924 (11), Giulio sceglieva infatti di tornare in continente, forse anche in conseguenza del grave contraccolpo subito con l’improvvisa morte della madre nel mese di ottobre.
A partire dal 1926 si impegnò in un nuovo progetto commerciale con la S. A. Banane Africa Italiana, specializzata nell’esportazione delle banane dalle colonie dell’Eritrea e della Somalia. Anche questa esperienza non ebbe però successo e si esaurì nel 1929 con scarsi profitti.
Deludenti sul piano della personale riuscita economica gli anni Venti furono cruciali nella definizione del pensiero politico di Giulio Fiocchi, che da un’entusiastica adesione al fascismo, maturò un atteggiamento sempre più critico nei confronti del regime, fino alla definitiva rottura che lo spinse più tardi ad entrare in relazione con gli ambienti della Resistenza.
La speranza di vedere “l’Italia, risanata e ricostrutta dal fascismo … arbitra del rinnovamento politico e sociale europeo” (12), lo indusse dapprincipio a conservare ampia fiducia in Mussolini, che considerava però circondato da incapaci, “fangosa marea incalzante dei più bassi appetiti e delle più miserabili condizioni” (13).
Convinto costituzionalista, persuaso che “senza costituzione non si può governare”, auspicava che il movimento venisse “decisamente e definitivamente incanalato nella costituzione” (14). Al contrario, la rapida involuzione totalitaristica dello Stato, indusse Giulio Fiocchi, a prendere progressivamente le distanze dal regime – con la restituzione della tessera del partito fin dal 1926 – e ad esprimere esplicite critiche nei confronti del duce, soprattutto dopo il suo avvicinamento alla Germania hitleriana:
“Due popoli che hanno tra di loro ben poche affinità e molti punti di contrasto stanno per esser costretti a marciare a braccetto dai rispettivi dittatori?”(15).
Di più, il fallimento del Patto a quattro e dei relativi tentativi di concertazione all’epoca delle tensioni austro-tedesche – con Mussolini che “impostosi come arbitro per (sedare un conflitto) comporre una vertenza, ha finito per inasprirla” (16) -, il sostegno ai falangisti durante la guerra civile spagnola (1936-1939), lasciavano presagire un nuovo inquietante scenario politico, destinato ad avere drammatiche conseguenze.
In particolare, Giulio Fiocchi manifestava le proprie perplessità e preoccupazioni per il coinvolgimento di potenze estere in Spagna:
“la tragedia spagnola di questi giorni diventa più rivoltante e spaventosa … per l’apporto (se così si può chiamare) dello straniero e delle non mai abbastanza deprecate mistiche dittatoriali. In nome di due mistiche, che si proclamano antitetiche senza esserlo, sostanzialmente, che in parte, e che entrambe tendono alla dittatura, alla dittatura subspecie aeternitatis, in nome dico di due mistiche Francia e Russia, da un lato, (fascismo e nazismo=cancellato) Germania e Italia (Vaticano=cancellato) dall’altra. Si sono intromesse in Spagna, non solo allo scoppio della guerra civile, ma nella sua preparazione. L’Inghilterra aiuta… le due fazioni favorendo, sembra, in più larga misura gli insorti militari … l’opinione pubblica italiana, ormai permeata totalmente in superficie e profondità di spirito fascista, non vede ormai che un dilemma: o bolscevismo o fascismo, e si rifiuta di pensare che dilemmi sono meri artifici …
Hitler ha denunciato il bolscevismo come il pericolo N. 1 Io dico che il pericolo N. 1 sono perlomeno due: la Russia e la Germania …Papa Ratti ha scagliato anche lui l’anatema contro il bolscevismo. Quando ci parlerà del neo druidismo nazista? Siamo rimasti pochissimi a sentire e a pensare con dignità e con giustizia. Ma siamo sicuri che l’avvenire darà ragione a noi” (17).
In quegli anni le maggiori consolazioni gli derivavano dagli affetti familiari e soprattutto dal matrimonio con Franca Origoni, che aveva sposato il 9 giugno 1934 nella chiesa di S. Alessandro a Milano e dalla quale avrebbe avuto quattro figli (Elena n. 1935, Maria Teresa n. 1936, Giacomo n. 1938 e Giorgio n. 1944).
Nonostante le divergenze d’opinioni, intatto rimaneva l’attaccamento pure per quelli che avevano maturato convinzioni diverse, come il fratello minore Costantino, strenuo sostenitore di Franco, tanto da arruolatosi volontario fra i legionari combattenti al fianco delle formazioni fasciste (18). Nell’estate del 1938 gli scriveva infatti: “siamo doppiamente lieti e che tu abbia avuto la soddisfazione di partecipare ai combattimenti del 13-14 luglio e che tu lo possa raccontare. Non so se ti abbiamo già informato che verso la fine di giugno ebbi una lettera del colonnello Bodini con gli elogi del tuo spirito legionario e guerriero” (19).
Negli anni successivi, tuttavia, il distacco di Giulio Fiocchi dal fascismo si fece sempre più netto e lo strappo inevitabile, soprattutto dopo l’entrata in guerra dell’Italia, come appare evidente in alcune amare riflessioni risalenti al principio del 1943:
“Questa guerra per quanto riguarda l’Italia, costituisce un esempio tipico di calpestamento della volontà nazionale, cioè della volontà della maggioranza … peggio la nazione si è lasciata costringere a combattere per il partito che l’opprime e che la conduce alla rovina … gli Italiani, i combattenti italiani combattono e, purtroppo muoiono, per i loro nemici, per il nemico del Paese” (20).
Nel mese di aprile, Giulio Fiocchi accompagnò la moglie Franca e i figli al Grand Hotel Villa Serbelloni di Bellagio, che i proprietari avevano deciso di affittare a famiglie sfollate e che presto si conquistò la fama di “covo di antitedeschi” (21). La situazione precipitava: nel mese di luglio forze anglo-americane sbarcavano in Sicilia e, nella notte fra il 24 e il 25, il Gran consiglio del fascismo toglieva la fiducia al duce, che veniva arrestato per ordine del re, mentre il maresciallo Pietro Badoglio veniva investito dell’incombenza di formare il nuovo governo e trattare con gli anglo-americani. Dopo l’8 settembre la posizione di Giulio Fiocchi si fece rapidamente più delicata per i suoi rapporti con il movimento clandestino al quale, insieme al fratello Carlo, procurava armi e munizioni (22).
I crescenti sospetti nei confronti dei due fratelli sfociarono nell’arresto di Giulio il 13 ottobre, seguito quattro giorni più tardi da quello di Carlo. Tuttavia, mentre Carlo veniva subito rilasciato, Giulio fu trattenuto nelle scuole di via Pignolo a Bergamo e poi trasferito al carcere di S. Agata, dove fu processato dal Tribunale militare di guerra tedesco e condannato a tre anni di reclusione per comportamento antifascista e antitedesco e per l’appoggio fornito ai partigiani della Grigna (23).
Ciononostante anche quando, per la peculiarità e l’importanza strategica della sua attività produttiva, lo stabilimento di Belledo venne requisito e sottoposto al controllo dell’Autorità militare tedesca, la dirigenza della società presieduta da Carlo Fiocchi riuscì ad assicurarsi l’esonero dei lavoratori dalla chiamata alle armi e le tessere di protezione (24), tentando altresì in ogni modo di ridurne la capacità produttiva, coprendo i sabotaggi compiuti dalle maestranze e la distribuzione di armi ai partigiani, che si svolgevano sotto la guida diretta di Vittorio Bonetti, genero di Carlo Fiocchi e impiegato della fabbrica (25).
Intanto, dopo la sentenza di condanna, Giulio Fiocchi veniva trasferito da Bergamo, al forte di S. Mattia di Verona, da qui allo Stadelheim di Monaco di Baviera e infine nella casa di rieducazione di Kaisheim, nella Bassa Baviera, dove sarebbe rimasto – addetto al reparto cartoleria – dal 24 gennaio 1944 fino all’arrivo degli americani e alla liberazione del campo nel mese di maggio 1945 (26).
Il ricordo dei primi giorni di prigionia a Bergamo ci viene tramandato in alcune pagine scritte da un suo compagno di cella, Giacinto Gambirasio:
“Era stato mandato nella nostra cella il dottor Giulio Fiocchi di Lecco… chiara figura di galantuomo, sopportava con disinvoltura la sua sorte, pur nella stravaganza del carattere. Dotato di vasta cultura, era giunto con un abbondante bagaglio di libri, che aveva subito distribuito ai compagni di cella, nonché con un altro eterogeneo bagaglio, degli oggetti più disparati: aveva con sè una mezza dozzina di candelieri, coi quali si divertiva a fare le luminarie, una dozzina di bottiglie vuote, una bagnarola e alcune fascine di rami di alloro e di ginepro, che bruciacchiava di tanto in tanto "per purificare l’aria ". L’entrata di Fiocchi aveva gettato un certo scompiglio nella nostra quieta compagnia. Dopo che l’aria era stata purificata (od appestata, a seconda dei gusti) dalla combustione del ginepro e dell’alloro, Premoli reclamava che si spalancassero le finestre: a ciò si opponeva Dolci, che temeva il freddo, nocivo alla sua ugola preziosa; si giungeva poi ad un compromesso, nel senso che le finestre venivano aperte per pochi minuti, dopo che Dolci aveva indossato soprabito e cappello. Anche di notte, Fiocchi era bersaglio di benevoli accidenti da parte di chi non poteva dormire per il forte chiarore delle sue luminarie…Si avvicinava il Natale. Ognuno di noi, pur covando nell’animo la segreta speranza di venir restituito alla famiglia nella fausta ricorrenza, era tuttavia rassegnato a trascorrere le feste fra le mura del carcere. Andavamo perciò simulando la maschera dell’allegria…Fiocchi si abbandonò all’estro del disegno e, valendosi di carboncini ricavati dai rametti dell’alloro bruciacchiato, disegnò sopra una parete della nostra cella una grande scena allegorica. Babbo Natale recava sulle spalle il gerlo tradizionale, nel quale per l’occasione era stata messa una scala; e, con legate alla cintola due chiavi colossali, si dirigeva alla volta di un edificio che rappresentava Sant’Agata; senonché, sulla soglia del carcere, una guardia con le braccia spalancate avrebbe voluto impedire l’accesso al liberatore…Ma qual triste Natale attendeva il povero Fiocchi! La sera del 21, subito dopo cena, venne il sottocapo ad avvertirlo di prepararsi ad uscire "con tutta la roba “. Possibile che lo liberassero a quell’ora? O forse lo trasferivano in un ospedale, dato che il poveretto era sofferente e proprio alcuni giorni prima era stato sottoposto ad una visita medica? Il sottocapo non sapeva nulla o non voleva dir nulla. E noi ci congedammo da quel buon amico, coi più caldi auguri, ma tuttavia incerti sulla sorte che lo attendeva. Quale fu la sua sorte lo sapemmo il giorno dopo: aveva passata la notte in un’altra cella, assieme a don Seghezzi, a don Ceresoli e a don Corti, e poi il mattino, di buon’ora, era stato avviato con loro alla volta di Verona. Pensammo subito alla destinazione finale: Germania” (27).
Solo pochi giorni dopo la sentenza, Giulio Fiocchi riusciva a informare la moglie Franca della sua destinazione, esortandola ad affrontare con coraggio la situazione:
“Mia Franca adorata, sii forte come sei sempre stata finora. E come lo sono io. La mia sorte si aggrava. Mi deportano in Germania – con 5 sacerdoti e altri.
Tutto il mio cuore, che è sempre stato tuo, tutta la mia anima, ogni mio pensiero è e sarà con te e con i nostri figli – che ti affido fino al mio ritorno. Più dura la prova, più gaudiosa la fine, la nostra ricongiunzione.
Ti abbraccio. Abbracciami i nostri figli. Sii forte per me, per te, per loro
tutto tuo Giulio” (28).
Durante la lunga detenzione, i tedeschi cercarono di esercitare pressioni sulla famiglia, alternando atteggiamenti intimidatori a promesse di liberazione dell’ostaggio in caso di maggiore collaborazione (29). Interpretando i sentimenti del fratello Giulio, Carlo Fiocchi si oppose però a ogni offerta di cooperazione, non esitando nemmeno a respingere decisamente un piano di trasferimento dei macchinari e delle maestranze addette allo stabilimento di Belledo a Lana d’Adige in cambio del rilascio di Giulio e incorrendo per questo anche in una minaccia di fucilazione.
Giulio Fiocchi fece ritorno il 3 giugno 1945, del suo arrivo a Bellagio la moglie Franca scrisse un commosso ricordo nel suo diario esattamente quarant’anni più tardi:
“Giulio dopo 20 mesi di dura prigionia a Bergamo, Verona e Kaisheim arrivò a Lecco in casa vecchia al primo mattino, portato da un auto del Vaticano in condizioni precarie. Vico Dubini lo portò poi a noi al Serbelloni. Giulio pesava kg. 40, smunto, febbricitante, serio. I Bucher avevano subito predisposto bandiere per accoglierlo e molti Bellagini lo aspettavano sul cancello e spiavano dalle finestre antistanti.
Noi eravamo vestite da spiaggia, faceva caldo. Lui indossava il paltò d’inverno del Prandoni: Soffriva freddo, aveva febbre alta. Tentò di mangiare con noi e i figli, ma il crescente ansimare lo convinse a coricarsi.
Povero corpo suo simile alle foto di Buchenwald. Il dr. Calcaterra mi dichiarò subito che solo 1 piccola parte inferiore del polmone sinistro lavorava, libero dalla devastante T.B.C. Poi venne il dr. Volterra a visitarlo; constatò anche “edema della fame” alle caviglie molto gonfie e dolenti. L’indomani venne a visitarlo il tisiologo prof. Carpi pessimista anche lui. Ma Giulio mio era tornato. Il Signore lo avrebbe aiutato a superare anche questa prova. Ne ero sicura. Giulio visse ancora 27 anni con noi!!" (30).

Negli anni del dopoguerra Giulio Fiocchi riprese ad occuparsi della ditta di famiglia, di cui continuava ad essere comproprietario, affiancando a tale impegno incarichi di volontariato e il ruolo di presidente della sezione di Lecco della Associazione nazionale combattenti e reduci.
La fine della guerra e del regime fascista non comportarono dunque la rinuncia all’impegno civile, al contrario, rafforzarono il suo senso di responsabilità e la percezione dell’importanza di un coscienzioso coinvolgimento nel processo di ricostruzione, come traspare da un’intensa lettera scritta all’amico Renzo Gilardi pochi giorni dopo l’arrivo in Italia:
“ultime dee superstiti – giustizia e libertà. Così ha cantato, e speriamo non invano, il nostro Carducci. E libertà sia soltanto quella di bene operare. E giustizia sia fatta e severa e inesorabile, dove il tradimento, l’odio e la ferocia hanno mostrato la loro faccia bieca e sinistra.
Ma noi, se non vogliamo diventare come “loro”, ricordiamoci bene: che non v’è giustizia dove non è legalità; che la giustizia anche la più tremenda, discende dall’amore e non dall’odio; che è ora che l’odio vada giù di moda, e che torni, di moda, la bontà. E con la bontà ritorni di moda il lavoro. Il lavoro con la giusta mercede, il lavoro abbondantemente retribuito, sicché il lavoratore non solo sia liberato dalla schiavitù del bisogno, ma sia posto nella condizione di poter volgersi anche alle cose dello spirito: ma lavoro. E col lavoro ritorni di moda la moralità"(31).
Non mancarono tuttavia momenti di sconforto e profonda afflizione per il deludente corso intrapreso dalla politica e dalla società italiana, che in breve tempo sembravano aver perso gran parte della tensione morale che aveva caratterizzato i mesi immediatamente successivi al termine del conflitto:
“Si è costituito da tempo un comitato per la celebrazione del ventennale, che, almeno a Milano, non si sa dove stia di casa, e che, a Milano non poteva organizzare peggio di così la celebrazione di una delle più grandi e gloriose date della Storia d’Italia….c’è, dico, nel popolo, non solo l’oblio,…un tedio ostile, a ciò che dovrebbe essere considerato l’unico valore morale e spirituale che ha salvato l’onore d’Italia davanti alla storia….parla Nenni. Parla bene con cuore e passione….Fuori, in piazza …apatia, indifferenza. I benpensanti, i neofascisti e i fascisti pentiti possono fregarsi le mani soddisfatti” (32).
Durante gli anni Sessanta si accentuarono i problemi di salute, in particolare lo colpì una grave forma di maculopatia che, nel 1964, arrivò a privarlo quasi completamente della vista. Le sue precarie condizioni si deteriorarono ulteriormente al principio degli anni Settanta, conducendolo alla morte il 21 gennaio 1973.

Note
(1) Hilda Galli, infermiera volontaria della CRI in zone di guerra.
(2) Lettera di Giulio Fiocchi alla famiglia (12 luglio 1916), Fondo Fiocchi Giulio, Istituto nazionale per la storia del Movimento di liberazione in Italia Ferruccio Parri, d’ora in poi FFG- INSMLI.
(3) Lettera di Giuseppina Cantù al figlio Giulio (s.d.), FFG- INSMLI.
(4) La descrizione della battaglia è riportata nella Memoria del tenente Umberto Delli Carri con dedica al capitano Giulio Fiocchi (23.06.1919), FFG- INSMLI. Una fotocopia del documento è anche presente in Archivio Famiglia Fiocchi, Civiche Raccolte storiche, Museo del Risorgimento, b. 8, 1, 14; d’ora in poi AFF-CRS.
(5) Lettera di Giulio Frediani alla famiglia Fiocchi (20.06.1918), FFG- INSMLI.
(6) Lettera di Giulio Fiocchi alla famiglia (22.06.1918), FFG- INSMLI.
(7) Lettera di Giulio Fiocchi alla madre (16.08.1920) FFG- INSMLI.
(8) Lettere di Giuseppina (Pinetta) Cantù al figlio Giulio (8 gennaio 1920 e 18 novembre 1920), FFG- INSMLI.
(9) Lettera di Giulio Fiocchi al fratello Costantino (2 novembre 1922) in AFF-CRS, b. 6, 7.
(10) Lettera di Giulio Fiocchi alla madre (4 maggio 1923), AFF-CRS, b. 3, 23.
(11) Lettera di Giulio Fiocchi alla sorella Maria (10 giugno 1924), AFF-CRS, b. 5, 9.
(12) Lettera di Giulio Fiocchi al fratello Costantino (2 novembre 1922), AFF-CRS, b. 6, 7.
(13) Lettera di Giulio Fiocchi alla madre (28 febbraio 1924), AFF-CRS, b. 3, 23.
(14) Lettera di Giulio Fiocchi al fratello Carlo (3 luglio 1924), AFF-CRS, b. 6, 2,3.
(15) Osservazioni e commenti (18 agosto 1933), FFG- INSMLI.
(16) Idem.
(17) Osservazioni e commenti (17 settembre 1936), FFG- INSMLI.
(18) Costantino Fiocchi partì per la Spagna il 15 dicembre 1937 per combattere volontario nella Falange e rientrò in Italia nel maggio 1939 con il grado di tenente e una medaglia di bronzo al valor militare. Durante la Seconda guerra mondiale combatté nell’Armata Azzurra e poi nel Reggimento paracadutisti Nembo della Brigata Folgore, cfr. E. Pozzi, “Una azienda e una famiglia di Lecco. La Giulio Fiocchi dalle origini alla II guerra mondiale”, Milano 2003, p. 195.
(19) Lettera di Giulio Fiocchi al fratello Costantino (11 agosto 1938), AFF-CRS, b. 6, 7.
(20) Diario 1943 (5 gennaio), FFG- INSMLI.
(21) Diario 1943 (1° ottobre), FFG- INSMLI.
(22) La rilevanza del ruolo svolto da Giulio Fiocchi a questo proposito si evince da una lettera scrittagli nel 1945 da Paolo Caccia Dominioni: “…a fine settembre 1943 ….tu mi hai chiesto se sarei stato disposto a salire il Resegone, per assumere il comando dei ribelli..Mi è molto spiaciuto non poter accettare, perché già impegnato, in pianura, con quella che fu poi la 106 brigata Garibaldi…”, cfr. Lettera di Paolo Caccia Dominioni a Giulio Fiocchi (29 luglio 1945), FFG- INSMLI.
(23) Diario 1943.
(24) Ibidem.
(25) E. Pozzi, Un’azienda…, cit., p. 49
(26) Diario 1943; lettera di Giulio Fiocchi alla moglie Franca Origoni (27 gennaio 1944), FFG- INSMLI.
(27) G. Gambirasio, Due mesi di carcere, Bergamo, Edizioni orobiche, 1945, pp.105-108.
(28) Lettera di Giulio Fiocchi alla moglie Franca Origoni (30 dicembre 1943), FFG- INSMLI.
(29) Sulle condizioni di vita nella casa di rieducazione di Kaisheim e la permanenza di Giulio Fiocchi, si vedano i ricordi di Mario Benigni, Roberto Pontiggia ed Emilio Rivellini in Bergamaschi nei campi KZ. Testimonianze, Bergamo, Associazione nazionale ex deportati politici nei campi di sterminio nazisti, 1992
(30) Diario di Franca Origoni (3 giugno 1985), FFG- INSMLI.
(31) Lettera di Giulio Fiocchi a Renzo Gilardi (18 giugno 1945), FFG- INSMLI.
(32) Diario di Giulio Fiocchi (25 aprile 1965), FFG- INSMLI.

Funzioni e occupazioni

  • imprenditore

Complessi archivistici

Compilatori

  • Maria Cristina Brunati (Archivista)