Della Pergola, Amelia ( Ancona (AN), 1886 maggio 23 - Roma (RM), 1977 )

Tipologia: Persona

Altre denominazioni:

  • Diotima [Pseudonimo]
  • Meletta [Diminutivo]

Abstract

Il presente fondo è costituito dalla documentazione donata alla Biblioteca di Como da Amelia Della Pergola, vedova dello scrittore e giornalista Massimo Bontempelli, tra il 1965 e il 1969. Insieme alle due casse Amelia consegna due lettere destinate a coloro che avranno per primi accesso alle carte. L’intento della donazione, dichiarato nella lettera datata 26 aprile 1965 (1), è quello di rendere pubbliche le vicende della loro vita in comune, al fine di far conoscere il grande lavoro a cui Massimo ha dedicato tutta la propria esistenza.
Nel fondo quindi è confluita tutta la documentazione (corrispondenza, fotografie, pubblicazioni, manoscritti, ecc.) raccolta da Amelia negli anni successivi alla separazione dal marito, avvenuta alla fine del 1921. Materiale eterogeneo che, oltre ad aprire una finestra su molti aspetti della loro vita familiare, costituisce una fonte importante per la ricostruzione della prima produzione letteraria di Massimo Bontempelli e dell’intera produzione letteraria di Amelia Della Pergola, essa stessa scrittrice.
Da qui nasce l’esigenza di individuare in Amelia Della Pergola il solo soggetto produttore dell’archivio, in quanto fondo costituito dalla sua volontà di riunire, conservare e lasciare alla pubblica memoria.
Per lo stesso motivo le note biografiche di Amelia sono più analitiche rispetto a quelle di Massimo, per il quale si rimanda alle più approfondite fonti bibliografiche.

Note:
1. Cfr. b. 14, serie 6, fasc. 20.

Profilo storico / Biografia

Amelia Della Pergola nasce ad Ancona da Cesare e da Elvira Almagià. A soli quindici anni perde il padre e rimane ad Ancona nella casa con la madre e le sorelle, fino all’incontro con Massimo Bontempelli nel 1908.
Dalle lettere che Massimo e Amelia si scambiano, prima come amici e confidenti, poi con un affetto sempre più evidente, emerge la personalità di Amelia quale donna intelligente e critica nei confronti dell’arte, della letteratura e in particolare della musica, che conosce e pratica con eccellenti risultati suonando al pianoforte.
Le lettere rivelano altresì la sua moderna concezione del ruolo della donna, emancipata e talvolta insofferente ai ruoli imposti di moglie e madre.
Il 6 maggio 1909 sposa Massimo e nell’autunno di quello stesso anno nasce la figlia Fiammetta che muore precocemente il 24 luglio dell’anno successivo.
Nel 1910 Massimo abbandona l’insegnamento e si trasferiscono a Firenze dove, il 21 gennaio 1911, Amelia da alla luce Massimo, chiamato Mino.
Fin dai primi anni di matrimonio la vita di Amelia e Massimo è caratterizzata da continue e a volte lunghe separazioni, dovute in particolare ai numerosi viaggi e incontri di lavoro di Massimo tra Roma, Milano e Firenze.
Amelia si dedica al ruolo di madre e collabora con Massimo a lavori di traduzione, il più importante dei quali è “De l’amour” di Stendhal, curandone la corrispondenza e consigliandolo nei rapporti con editori e produttori teatrali.
L’entrata in guerra dell’Italia segna un arresto nella produzione letteraria e soprattutto teatrale di Bontempelli che, con la messa in scena di due commedie, aveva visto finalmente avviata al successo la sua carriera di scrittore. Mentre Massimo si reca dapprima in Valtellina come inviato di guerra per Il Secolo, e poi, dopo la frequenza alla scuola di ufficiale di artiglieria, viene arruolato nel 52° reggimento di artiglieria da campagna, Amelia rimane a Firenze con Mino, si trasferisce a Milano alla fine del 1916 e infine, nel maggio 1917 a Roma presso una delle sorelle, dove rimane fino alla fine della guerra.
Questi anni segnano la separazione più lunga e dolorosa che Massimo e Amelia cercano di colmare con una corrispondenza giornaliera. Le lettere, oltre che aggiornamenti e informazioni sulla loro reciproca quotidianità, contengono anche riferimenti a opere di Bontempelli, agli ambienti culturali dell’epoca, al futurismo, alla politica.
Amelia intanto si dedica alla crescita del figlio, alla frequentazione degli ambienti culturali e dei salotti milanesi, tra i quali quello di Margherita Sarfatti, e inizia a scrivere poesie che sottopone al giudizio di Massimo (1). Scrive anche favole e novelle che fa leggere a Silvio Spaventa e che vengono pubblicate sul Corriere dei piccoli e, per conto della casa editrice di Umberto Notari, cura alcune traduzioni.
La fine della guerra vede il tanto agognato ricongiungimento della famiglia. Tuttavia, nei due anni successivi, matura nella coppia una profonda crisi dovuta, da quanto consta dai diari di Amelia, in parte alle prolungate assenze di Massimo per convegni e congressi, in parte al carattere instabile e inquieto e alla debolezza fisica di Amelia. Il progressivo allontanamento culmina nell’abbandono della casa di Milano da parte di Amelia, alla fine del 1921, dopo la confessione dell’infedeltà e della passione da cui si è lasciata travolgere verso Alberto Savinio (2).
Dopo la separazione Amelia e Mino si trasferiscono a Roma. Amelia si dedica ancora più assiduamente alla scrittura, pubblicando, sotto lo pseudonimo di Diotima, assegnatole da Massimo, diversi scritti su importanti riviste dell’epoca. Tra questi il racconto “Le fatiche di Nozhatu”, scritto a quattro mani con Umberto Barbaro e apparso nel 1928 sulla rivista 900, Cahiers d’Italie et d’Europe, novelle e poesie pubblicate negli anni dal 1933 al 1953 su Quadrivio, Occidente, L’Italia letteraria e altre riviste.
Sulla rivista Roma fascista viene invece pubblicata la commedia “Non ci sono più donne”, rappresentata per la prima volta al Teatro degli indipendenti di Roma l’8 dicembre 1927, con scenografie di Vinicio Paladini e musiche di Ferenc Farkas.
Diotima è anche autrice di romanzi dalle incerte e complesse vicende editoriali. “L’orologio innamorato” viene pubblicato nel 1932 da Le edizioni d’Italia di Roma. Nel 1935 la casa editrice Ceschina di Milano pubblica “A coppie e soli”, romanzo passato alla censura dell’editore ma bocciato dal Ministero della cultura popolare che impone il ritiro dell’edizione adducendo la ragione che il libro “non aveva mentalità fascista” (3).
Sorte ancora più avversa è quella del romanzo “La famiglia Donadeus”, scritto nel 1935. Solo nel 1938 Diotima ottiene un contratto dalla casa editrice Bompiani per la sua pubblicazione ma, all’emanazione delle leggi razziali e alla comunicazione di Amelia all’editore sulle proprie origini ebree, la casa editrice ringrazia restituendo il volume.
I tentativi di riproporre il romanzo dopo la fine della guerra e la caduta del fascismo sortiscono esito altrettanto negativo, tanto che in un proprio scritto della metà degli anni ‘40, dal titolo “Parliamo un poco di questi ebrei” (4) Amelia dichiara il proprio scetticismo sull’effettivo e concreto superamento delle leggi razziali, narrando anche le vicende della sorella Mina, attrice assunta alla RAI dopo la liberazione di Roma ma in seguito dichiarata “inutilizzabile” fino al licenziamento.
Gli anni successivi alla separazione segnano per Amelia una profonda crisi personale che, dopo un primo momento di riconquistata indipendenza, la porta a rinnegare la scelta, dettata dall’istinto, di lasciare Massimo e abbandonare la casa comune.
Alle vicende familiari, e in parte anche in dipendenza da queste, si aggiunge, inoltre, la riflessione spirituale che la porta ad una profonda conversione e alla scelta del battesimo per sé stessa e per il figlio Mino. La data del 24 maggio 1938, giorno in cui viene battezzata, diventa per Amelia la seconda nascita.
Nel corso degli anni diversi tentativi di riavvicinamento a Massimo e di ricongiungimento della famiglia, anche per amore di Mino, vedono fallire ogni speranza, tanto da indurla ad affermare “Ho fatto nella vita come faccio se gioco a scacchi: con una mossa errata ne ho provocate tante, che alla fine avrò il matto senza saperlo” (5).
L’illusione di una famiglia finalmente riunita si fa particolarmente realistica durante i mesi di soggiorno clandestino che i tre trascorrono insieme nel Collegio pontificio missionario, ospiti di padre Viganò, dal 17 dicembre 1943 al 10 febbraio 1944. Dopo molti anni Amelia ricorderà quei giorni come i più felici della sua vita dopo venti anni (6).
I diari, che Amelia scrive per tutto il corso della propria vita, diventano con il passare degli anni un ininterrotto dialogo con Dio e con Massimo, nel continuo volgersi con rimpianto al passato, nella condanna del proprio errore e della passione che rinnega, nell’incessante sublimazione dell’amore spirituale per Massimo, unica forma di amore destinata a durare nella vita terrena e dopo la morte.
E nella morte, nel dolore e nella sofferenza Amelia trova la propria strada di espiazione.
Il 6 maggio 1952 muore Savinio, che Amelia ricorda nelle pagine del diario affermando che “l’incontro con lui ha mutato il corso della nostra vita” (7).
Il 21 luglio 1960, dopo una lunga malattia, muore Massimo.
Il 6 dicembre 1962, stroncato in soli due mesi da un tumore, muore Mino.
I dialoghi con Dio e Massimo, a cui si aggiungono Mino e il ricordo di Fiammetta, da questo momento riempiono per intero le pagine di diari e appunti, nell’estrema condanna delle proprie debolezze che tanto male hanno causato agli unici amori della propria vita.
La vecchiaia nella solitudine e nella malattia diventa per Amelia un’offerta a Dio in cambio del perdono e nell’attesa della morte, unica speranza di ricongiungimento ai suoi cari.
Il 14 giugno 1968 diventa terziaria francescana.
Anche nella produzione letteraria successiva alla conversione, la riflessione e l’elevazione spirituale diventano gli argomenti cardine. Ne sono esempi “Tre prigionieri” e “Il piccolo Rosario”.
Il primo è un saggio biografico edito da Figlie della Chiesa di Roma nel 1952, con il quale vengono tracciate le vite di Antonio Gramsci, Katherine Mansfield e Santa Teresa del Bambino Gesù.
“Il piccolo Rosario” è una raccolta di sonetti che ripercorrono i misteri del Santo Rosario, breve opera composta nel 1941 ma data alle stampe solo successivamente alla morte di Mino alla cui memoria viene dedicata.
Nell’ultimo diario, terminato nel 1969, all’età di ottantatre anni, Amelia parla delle casse donate alla biblioteca, contenenti la memoria della sua vita con Massimo e con Mino. Nel gesto di chiuderle rinnova la chiusura delle loro bare, affidando a noi la possibilità di un riscatto terreno. “Ci sono esseri fortunati pei quali tutto è semplice e naturale; io per tutta la vita sono stata oppressa e stupefatta dinanzi all’enigma della mia vita”(8).
Amelia muore a Roma nel 1977.

Fonte
Fondo Della Pergola – Bontempelli, Biblioteca comunale di Como

Note:
1. Le poesie, mai pubblicate, sono state poi raccolte da Massimo Bontempelli subito dopo la separazione, in un dattiloscritto intitolato “Diario di Meletta”. Cfr b. 16, serie 6, fasc. 41.
2. Alberto Savinio (Atene 1891 – Roma 1952), pseudonimo dello scrittore, pittore e musicista Andrea De Chirico, fratello di Giorgio. Dizionario biografico degli italiani, Treccani.
3. Cfr. Foglio dattiloscritto, b. 16, serie 6, fasc. 45.
4. Cfr. Foglio dattiloscritto, b. 14, serie 6, fasc. 14.
5. Da una lettera indirizzata a Massimo, scritta da Parigi a metà degli anni ’20 ma mai spedita. Cfr. b. 9, serie 1, fasc. 80.
6. Cfr. Diario, b. 15, serie 6, fasc. 29.
7. Cfr. Diario, b. 15, serie 6, fasc. 29.
8. Cfr. Diario, b. 15, serie 6, fasc. 29.

Complessi archivistici

Fonti

  • Archivio biografico 1987 = AA.VV., Archivio biografico italiano, K.G. Saur, 1987 - 1996
  • Asor Rosa 1992 = Asor Rosa Alberto, Dizionario della letteratura italiana del Novecento, Einaudi, 1992

Compilatori

  • Prima redazione: Lara Maria Trolli (archivista) - Data intervento: 16 dicembre 2016