Comune di Grosio ( sec. XIII - )

Tipologia: Ente

Tipologia ente: Ente pubblico territoriale

Sede: Grosio

Codici identificativi

  • MIDB0002D8 (PLAIN) [Verificato il 22/10/2013]

Profilo storico / Biografia

Da una pergamena conservata nell’archivio, la comunità di Grosio appare esistere come organizzazione già nel XIII secolo: si sa infatti che il decano e i vicini di Grosio, radunati in assemblea dal saltaro al suono della campana, vendettero in data 30 dicembre 1292 ogni diritto del comune sulle alpi di Campo Cazano e di Sacco; in un altro atto, datato 28 gennaio 1339, compaiono per la prima volta i consiglieri, in numero di 4, oltre al decano.
Scarseggiano, invece, le notizie relative agli statuti comunitari più antichi, sicuramente esistiti già dal 1395: un atto del 1792 riporta una nota dell’archivista Giovan Battista Robustelli che dichiara di aver tolto dall’archivio comunale e consegnato a Nicola Visconti Venosta, deputato agli affari della Valtellina, gli statuti del 1395, oltre a quelli del 1515, 1528 e 1539.
L’esistenza di tali statuti è poi confermata dal De Simoni e ripresa da autori successivi, ma attualmente sono irreperibili.
Sono invece presenti presso l’archivio comunale 14 capitoli degli statuti del 1491 ed i successivi dei secoli XVIXVIII, che si occupano della gestione del territorio, soprattutto pascoli e boschi, della regolamentazione dell’attività agricola, delle norme di polizia rurale ed urbana e dell’organizzazione comunitaria e dei suoi ufficiali.
Dagli statuti del 1515 risulta che la comunità era articolata in cinque contrade, Adda, Piatta, Ravoledo, Tiolo, Viale; nel 1595 vengono poi previsti in modo dettagliato gli incaricati della comunità e la loro elezione con l’indicazione dei compiti. Questo forse a seguito della “entrata in Commune”, dopo un lungo periodo di controversie delle famiglie nobili Venosta e Quadrio, che fino alla metà del secolo XVI avevano costituito un’entita a sé stante, con propri diritti e privilegi, spesso in contrapposizione coi vicini. Dopo tale entrata le famiglie nobili ebbero invece il diritto di eleggere i propri rappresentanti nei consigli e di partecipare a pieno titolo, pur perdendo i loro privilegi, alla vita della comunità.
L’organo deliberante della comunità di Grosio il consiglio, che solitamente si riuniva nella casa comunale in locale apposito (la “stua” della caneva), era composto dal decano e dai quattro consiglieri, cinque dalla fine del secolo XVI, uno per ogni contrada. Facevano poi parte del consiglio in via ordinaria altri dieci uomini, due per contrada, e nei casi più importanti altri quindici uomini che formavano il consiglio allargato.
I consiglieri erano obbligati a partecipare alle riunioni consiliari o, in caso di impedimento, a delegare persona atta a sostituirli.
Non potevano far parte del consiglio i “figli familiae”, se non nel caso in cui vivessero da molti anni separati dal padre o fossero dallo stesso delegati a rappresentarlo.
Per l’elezione del nuovo decano il consiglio uscente designava sei uomini per ogni contrada tra i quali veniva estratto a sorte, con il lancio dei dadi, l’elettore della contrada. Gli elettori così designati provvedevano poi ad eleggere tre persone idonee a ricoprire la carica del decano; tra le stesse con successiva estrazione a sorte, veniva poi designato il decano. Lo stesso doveva, all’atto dell’elezione, giurare sopra le Sacre Scritture di accettare la carica e di esercitarla rettamente e di far rispettare gli statuti. Colui che non avesse accettato la carica era assoggettato al pagamento di un’ammenda di cinquanta scudi d’oro da destinarsi al monte di Pietà ed era esonerato da ogni incarico per i dieci anni successivi.
Il decano aveva diritto di scegliere l’attuario, designando la persona a suo parere più adatta; l’incarico dell’attuario, che poteva essere reiterato, non era rinunciabile. Egli doveva ordinatamente tenere il libro del dare e dell’avere, annotare le “ordinazioni” fatte in consiglio, scrivere le licenze concesse (di taglio di legna ecc.), le querele, le contravvenzioni, le violazioni ai capitoli degli statuti, formare gli elenchi dei prestatori d’opera (i “pobieganti”) e delle persone che ricevevano l’elemosina, annotare inoltre il bestiame alpeggiato o inviato sui “maggenghi”.
I quinternetti delle taglie e gli “scodiroli” dei fitti del capitolo dell’elemosina erano invece tenuti dall’archivista, che a volte poteva coincidere con l’attuario.
I saltari erano parimente eletti dal consiglio nella prima riunione annuale; gli stessi potevano rifiutare l’incarico. Una volta ultimato ne erano esonerati per i successivi quattro anni.
I saltari avevano il compito di notificare al decano, entro tre giorni dall’avvenuto accertamento, ogni contraddizione; in caso contrario avrebbero dovuto pagare essi stessi la pena. Era poi loro compito custodire i boschi e gli altri luoghi sottoposti alla loro sorveglianza: in particolare la “Rovaschiera”, montagna a nord – est di Grosio, e ad eseguire in genere i compiti loro imposti dal decano o dagli altri ufficiali della comunità; erano infine tenuti a “fare mendanze quando qualcuno denuncerà il contraffacente, sotto pena di uno scudo da destinarsi alla comunità”.
Essi dovevano inoltre annunciare ai consiglieri la convocazione dei consigli, sia nel territorio del comune che fuori da esso, dietro rimborso delle spese sostenute (cfr. unità 12).

Complessi archivistici