Bonduri di Gandino ( 1624 - 1743 )

Tipologia: Famiglia

Profilo storico / Biografia

Sorta per iniziativa di Lucrezio Bonduri (1), con l’omonima ragione sociale, l’attività di produzione e commercio di panni in lana della famiglia Bonduri di Gandino, è una delle protagoniste dell’industria laniera bergamasca tra Sei e Settecento.
A seguito della morte di Lucrezio, vittima dell’epidemia di peste del 1630, i tre figli Giovanni Battista (1602-1656), Marco Antonio (1612-1690) e Lucrezio (1618-?) proseguono l’attività imprenditoriale paterna, prima come ‘Heredi di Lucretio Bonduri’ (dal 1631 al 1636), poi, a seguito del distacco di Giovanni Battista per la sua scelta di mettersi in proprio, come ‘Marc’Antonio e Lucretio Bonduri’ (dal 1636 al 1638), infine, con la separazione dei due fratelli, come ditta individuale ‘Marc’Antonio Bonduri’ (a partire dalla metà del 1638).

Acquisita totale autonomia, dopo una «falsa partenza» (2) causata da una grave malattia del giovane Marco Antonio, l’impresa si attesta sul mercato, ottenendo risultati sempre più incoraggianti e consolidando i suoi rapporti con la clientela del Tirolo, della Baviera, dell’Austria e della Croazia. Una strategia commerciale inizialmente realizzabile attraverso l’accordo con il mercante Benedetto Alessandrini di Gandino, i cui commerci sono strettamente legati all’Europa orientale, e la creazione, per una durata di 7 anni, della compagnia Alessandrini – Bonduri, fondata nel 1644, che non sostituisce la ditta principale di produzione di panni in lana, ma ne permette un’organizzazione più efficace. Una delle maggiori difficoltà dei primi anni è, infatti, la concentrazione nella figura del solo Marco Antonio della direzione della produzione laniera e dell’attività commerciale, con i frequenti trasferimenti a Bolzano per le quattro fiere annuali.
Le fiere di Bolzano rappresentano, infatti, il momento essenziale «nel disegno commerciale della Marc’Antonio Bonduri» (3).
Il calendario fieristico della località altoatesina si apriva a marzo con la fiera di Mezza Quaresima, proseguendo in giugno e fine agosto/primi di settembre con le fiere del Corpus Domini e di S. Bartolomeo, per chiudersi a dicembre con la fiera di Sant’Andrea. Ogni fiera aveva una durata di 15 giorni, suddivisa in tre momenti: lo scambio delle merci (prima settimana), il traffico del denaro («dall’ottavo all’undicesimo giorno [quando] venivano accettate le lettere di cambio») e il credito («dal dodicesimo al quindicesimo giorno [in cui] si regolavano i pagamenti») (4).
L’attività fieristica della ditta prevedeva la vendita di pannine di sua produzione e l’acquisto, su commissione di commercianti della Val Gandino, di Bergamo o semplicemente di clienti e amici, di mercanzie diverse, con un’intermediazione di norma ricompensata con una provvigione del 2% sul totale e la negoziazione in cambi. Un’attività assai impegnativa, a cui Marco Antonio non può delegare, ma presto la famiglia entra a far parte integrante ed essenziale dell’attività imprenditoriale.
Marco Antonio si era unito in matrimonio nel 1635 con Maria Maddalena Filipponi di Endine. Nozze coronate dalla nascita di ben 10 figli, di cui 5 maschi che raggiungono la maggiore età e rappresentano agli occhi del padre una possibilità per la prosecuzione della ditta: Carlo Lucrezio (1638-1715), inviato giovanissimo presso una casa di commercio salisburghese per apprendere il tedesco e poi affiancare il padre presso le fiere altoatesine, Francesco (1648-1715), avviato alla pratica mercantile presso la Casa Ricci di Verona, Giuseppe (1651-1712), formatosi come Francesco presso il Collegio dei Gesuiti di Brescia, laureatosi all’Università di Padova e in seguito sacerdote, ma seguirà sempre le scelte e gli sviluppi dell’attività imprenditoriale di famiglia, Antonio (1654-1734), con una laurea in medicina e chirurgia conseguita presso l’ateneo patavino, ma ritiratosi nella proprietà di Cenate a seguito di episodi maniaco-depressivi, e infine Giovanni Battista (1657-1718), inviato dodicenne in casa del mercante Isaac Liner di Bressanone ad imparare il mestiere.
Nel 1656 la morte di Giovanni Battista, fratello maggiore di Marco Antonio e titolare dell’omonima ditta, provoca lo scioglimento della sua società e l’entrata dei suoi eredi (Giovanni Antonio, Giuseppe Benedetto e Lucrezio) nella ditta dello zio, i quali, trasferendosi a Napoli ed ampliando il giro d’affari della ‘Marc’Antonio Bonduri’, si dedicheranno all’acquisto di lane grezze alla fiera di Foggia (lane pugliesi e “di Levante” di provenienza balcanica) e al commercio nel Sud Italia dei panni in lana Bonduri e dei generi provenienti dalle fiere di Bolzano.
L’attività del lanificio, fino agli anni Settanta del XVII secolo, è incentrata sulla produzione di panni bassi o pannine, più economiche e di più bassa qualità, ampliandosi in anni successivi con una gamma più estesa, come i panni colorati “all’uso d’Olanda e d’Inghilterra” e produzioni di panni di livello superiore, quali panni “all’uso di Padova” e roversi “alla fiorentina”.
Il processo produttivo si basava sulla manifattura decentrata, organizzata intorno alla bottega centrale di Gandino («centro direttivo e amministrativo, ma anche (…) luogo nel quale venivano effettuate alcune operazioni di trasformazione» (5)), ai lavoranti a domicilio e ai tintori e follatori che svolgevano queste attività in edifici particolari.
Le prime fasi del processo produttivo erano svolte nella sede di Gandino, a cura di manodopera maschile:
- la rifinitura o «apparecchiatura», vale a dire il trattamento di lavatura, cernita e mondatura, cui era sottoposta la lana in arrivo;
- la riduzione della materia prima in “faldelle” di 2 libbre ciascuna per opera dei “verghezzini” o “battilana”;
- e la pettinatura per l’estrazione dello stame (6), utile per l’orditura dei panni e la realizzazione di alcuni prodotti (calze, berretti e guanti).

Le fasi di filatura e tessitura avvenivano, invece, a domicilio: per la filatura della trama ci si affidava alle mogli e alle figlie dei lavoranti di bottega a Gandino e per la filatura dello stame, attraverso intermediari detti “filoni”, si utilizzava manodopera femminile residente in Val Gandino, Val Seriana, Val Cavallina e Val Camonica, attiva dall’autunno alla primavera. Ottenuto il filato seguiva la tessitura del panno in lana a Gandino.
A questo punto il tessuto era sottoposto alle operazioni di rifinitura ossia alla purgatura, con cui il panno era completamente sgrassato, attraverso l’immersione in una soluzione di acqua calda, sapone, lisciva e urina fermentata, il “passaggio” con i piedi del prodotto immerso, quindi l’immersione in acqua fredda, il trattamento con argilla e acqua calda e infine il risciacquo in acqua corrente; all’asciugatura; alla follatura per migliorare la qualità del prodotto, con un procedimento di feltratura; alla garzatura o cottonatura ossia il sollevamento delle fibre dei fili del tessuto per renderlo soffice, peloso e vellutato, così da aumentarne la caratteristica di isolamento; alla cimatura, consistente nell’asporto o pareggio del pelo e alla stiratura. A panno completato, questi era tinto, asciugato e ripulito per l’imballaggio e la spedizione.
La manifattura di Gandino utilizzava lane “di Levante” di provenienza balcanica, nelle qualità denominate “Scopia”, “Durazzo” e “Filippopoli”, lane di Puglia (altrimenti dette di “Lucoli” e di “Celano”), lane di Spagna e meno frequentemente lane del Trentino, del Lazio o “paesane”, cioè di produzione locale. Le lane provenienti da Puglia e Spagna erano utilizzate per la produzione di panni «di sicuro buon livello» (7), quelle dai porti levantini e di origine locale, laziale e trentina per il «segmento produttivo medio-basso» (8); in questo modo la ditta forniva un «ampio ventaglio di prodotti diversi per soddisfare le differenti esigenze della clientela» (9).
Nel corso della seconda metà del Seicento, con investimenti in beni fondiari (10), in attrezzature produttive e in nuove combinazioni commerciali e con il coinvolgimento dei figli, dei nipoti e del genero Bernardino Gregori, Marco Antonio amplia l’attività della ditta ai settori della tintura e garzatura dei panni, completando il ciclo produttivo e migliorando la posizione economica e sociale della famiglia.
«L’ascesa dell’imprenditore gandinese rappresentava, insomma, il frutto di una corretta e fortunata politica aziendale», comprovata dai ruoli sociali ricoperti nel corso degli anni: consigliere dell’Arengo comunale di Gandino (1661), ministro della Scuola dei Disciplini eretta nella chiesa di Santa Croce (1663) e rappresentante della comunità di Gandino all’interno del Consiglio di Valle.
Nel gennaio 1690 Marco Antonio muore all’età di 78 anni e l’attività, inizialmente gestita da tutti i figli, passa nelle sole mani di Francesco, residente a Verona, e di Giovanni Battista, dimorante a Gandino, coadiuvato dai nipoti Giuseppe e Marco Antonio Zambelli. L’attività prosegue, ma seguendo un andamento produttivo discendente; il volume d’affari diminuisce, molti mercati d’oltralpe scompaiono e la sopravvivenza sul mercato italiano diventa sempre più difficile.
A seguito dei decessi dei figli di Marco Antonio (la terza generazione Bonduri impegnata nella ditta) (11), l’attività imprenditoriale e tutto il patrimonio di famiglia passa a Maria Maddalena, unica figlia di Giovanni Battista; tra i figli maschi di Marco Antonio, infatti, Giovanni Battista era stato il solo a convolare a nozze con Anna Olimpia Savi, «esponente di una famiglia di origine gandinese che aveva avviato fiorenti negozi anche a Venezia» (12).
L’unica erede di questo ramo familiare, il 16 agosto 1714, si lega in matrimonio con il conte Antonio Maria Secco Suardo, il quale, alla morte di Anna Olimpia Savi, vedova di Giovanni Battista, decide di vendere tutti i beni di provenienza Bonduri, per sanare i debiti dell’eredità, e cedere l’attività imprenditoriale a Marco Antonio e Giuseppe Zambelli, cugini della moglie e da molti anni inseriti nell’impresa, ma, a causa del mancato rispetto di accordi legati alla cessione, rivende tutto il complesso produttivo a Bartolomeo Lacca e Giuseppe Radici (1744). Con Maria Maddalena, nella seconda metà del XVIII secolo, si estingue questo ramo della famiglia Bonduri.

Note
(1) Secondo la ricerca genealogica di Pietro Gelmi e Battista Suardi, la famiglia Bonduri, originaria di Peja, è un ramo dell’antica casata degli Otteni, citata nell’atto di emancipazione del Comune di Gandino dalla signoria feudale di Arpinello Facieni nel luglio 1233. A metà del Trecento compare per la prima volta il soprannome ‘Bonduro’ attribuito a un esponente della famiglia, che diventa un secolo dopo il vero e proprio cognome ‘de Bonduris’. Sin dal XV secolo i suoi membri si dedicano all’arte laniera, con ruoli e mansioni diverse (follatori, garzatori, tessitori di panni), piccoli artigiani che lavorano per conto terzi, ma che si emancipano al principio del Seicento con la figura di Lucrezio che fonda una ditta per la produzione e il commercio di panni in lana. Vedi P. Gelmi – B. Suardi, Scarlatto garibaldino. Tintori e lanieri gandinesi (secoli XV-XIX), Gandino, Amici del Museo, 2007, pag. 54.
(2) G. J. Pizzorni, La «Marco Antonio Bonduri» di Gandino. Un’impresa laniera in controtendenza tra Sei e Settecento, Milano, Franco Angeli, 2005, pag. 23.
(3) G. J. Pizzorni, La «Marco Antonio Bonduri» di Gandino …, pag. 121.
(4) G. J. Pizzorni, La «Marco Antonio Bonduri» di Gandino …, n. 4, pag. 122.
(5) G. J. Pizzorni, La «Marco Antonio Bonduri» di Gandino …, pag. 94.
(6) La parte più fine e resistente del filato di lana, impiegata per tessuti di particolare qualità.
(7) G. J. Pizzorni, La «Marco Antonio Bonduri» di Gandino …, pag. 66.
(8) Ibidem.
(9) Ibidem.
(10) Appezzamenti di terreno a Gandino e la possessione di Cenate.
(11) Giuseppe nel 1712, Francesco nel 1715 e Giovanni Battista nel 1718.
(12) G. J. Pizzorni, La «Marco Antonio Bonduri» di Gandino …, pag. 40.

Complessi archivistici

Compilatori

  • Prima redazione: Dilda, Giovanni Luca (archivista) - Data intervento: 07 dicembre 2023