Graziani, Rodolfo ( 1882 agosto 11 - 1955 gennaio 11 )

Tipologia: Persona

Profilo storico / Biografia

Rodolfo Graziani è uno dei più controversi e contraddittori protagonisti dell’Italia fascista. Sono molteplici le cariche e i ruoli che ricopre in campo militare e politico tra il 1930 e il 1945: vice-governatore della Cirenaica (1930-1934), generale di corpo d’Armata nel 1932, governatore della Somalia nel 1935, viceré d’Etiopia (1936-1937), Maresciallo d’Italia nel 1936, marchese di Neghelli nel 1937, Capo di Stato maggiore dell’esercito (1939-1941), governatore della Libia (1940-1941), ministro della Difesa e delle Forze armate della Repubblica sociale italiana (1943-1945); e poi ancora, negli ultimi anni della sua vita, presidente dell’Associazione Nazionale Combattenti Repubblicani (1952-1955), presidente onorario del Movimento Sociale Italiano (1953-1954).
Graziani nasce l’11 agosto 1882 a Filettino, un paese della Val d’Aniene in provincia di Frosinone, quarto dei nove figli di Filippo, medico condotto ad Affile, e di Adelia Clementi.
Dopo la licenza liceale, nell’ottobre 1902, si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma. Nello stesso tempo gli obblighi di leva lo portano nel plotone Allievi Ufficiali formato presso il 94° reggimento Fanteria di Roma. Nel 1904 risulta tra i vincitori di un concorso bandito dal ministero della Guerra per l’entrata in servizio effettivo di 50 ufficiali di complemento e viene assegnato al 1° Reggimento Granatieri di Roma. Inizia così la carriera militare.
Nel 1908 chiede e ottiene di essere destinato alle truppe stanziate in Eritrea, da dove viene rimpatriato nel 1912, per motivi di salute.
Il 9 agosto 1913 sposa Ines Chionetti. Trascorre l’anno successivo in Libia con il IIIBattaglione del Reggimento Granatieri.
Allo scoppio della prima guerra mondiale viene destinato al 131° Fanteria di Milizia mobile della Brigata Lazio. Nel 1916 è promosso maggiore per meriti di guerra e insignito della croce di Cavaliere della Corona d’Italia. Nel 1918 è già colonnello.
Alla fine del conflitto viene inviato in Macedonia per assumere il comando del 61° Fanteria. La permanenza nei Balcani è breve e nel volgere di pochi mesi rientra in Italia.
Nel 1922 è nuovamente in Libia, dove rimarrà per oltre dieci anni, impegnato nelle conquiste coloniali italiane e nella repressione della resistenza dei ribelli locali. Tra il 1929 e il 1930 partecipa al progetto di rioccupazione del Fezzan e, in virtù dei suoi successi militari, il 17 marzo 1930 è nominato vice-governatore della Cirenaica. Risale a questi anni il volume di memorie “Verso il Fezzan” in cui Graziani ripercorre tutte le tappe della sua vita militare. Nel 1932 è promosso generale di corpo d’Armata per meriti speciali e nel 1934, alla fine del mandato di vice-governatore, lascia la Cirenaica.
Giunto in Italia assume il comando del Corpo d’armata di Udine, ma già nel febbraio 1935 fa ritorno in Africa, nominato da Mussolini governatore della Somalia. Dalla Somalia Graziani guida la Campagna d’Etiopia e i successi militari gli valgono, il 9 maggio 1936, il grado di Maresciallo d’Italia, mentre il 21 giugno viene nominato viceré d’Etiopia, governatore generale e comandante superiore delle truppe, succedendo nella carica al maresciallo Pietro Badoglio.
Il 19 febbraio 1937 ad Addis Abeba, durante la cerimonia organizzata per la nascita del Principe di Napoli Vittorio Emanuele, Graziani subisce un attentato ad opera dei ribelli. La rappresaglia dura diversi mesi ed è feroce, con il massacro di migliaia di indigeni e l’eccidio di centinaia di religiosi e pellegrini cristiani della Chiesa etiope radunati nel monastero di Debra Libanos.
L’efferatezza di questo e altri simili episodi e l’accusa, risultata poi fondata, di aver fatto uso durante la guerra di gas asfissianti contro le popolazioni etiopi, segneranno per sempre la fama di Graziani.
L’11 novembre 1937 Mussolini lo destituisce dalla carica di viceré d’Etiopia e lo richiama in patria. Quasi a compensazione di questo richiamo, il 6 dicembre riceve il titolo di Marchese di Neghelli. Poi, nel gennaio del 1938, il rientro in Italia.
Alla vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia, nel novembre 1939, Mussolini lo nomina Capo di Stato maggiore dell’esercito, ma già il 29 giugno dell’anno successivo, a guerra appena iniziata, deve tornare d’urgenza in Africa: Italo Balbo è morto il giorno precedente e Graziani è chiamato a sostituirlo come Comandante superiore delle truppe in Africa Settentrionale con le funzioni di governatore della Libia.
Il nostro parte alla volta della Cirenaica raggiungendo il comando delle truppe operanti contro le forze britanniche schierate al confine egiziano. Il 14 settembre dà inizio all’attacco marciando verso Marsa Matruh, ma l’operazione si risolve in un totale insuccesso: il 3 gennaio 1941 le forze italiane, concentrate a Bardia, sono costrette a capitolare. Il 21 marzo Graziani si dimette da ogni funzione e torna in Italia.
Nel novembre dello stesso anno Mussolini nomina una commissione militare d’inchiesta – presieduta dal grande ammiraglio Paolo Thaon Di Revel – per esaminare le sue responsabilità nella sconfitta italiana in Etiopia. A propria difesa Graziani redigerà un “Memoriale difensivo”, che però non servirà: alla fine, nonostante l’inchiesta si concluda con un giudizio che avrebbe potuto costargli il deferimento alla Corte marziale, nei suoi confronti non vengono presi provvedimenti.
Amareggiato dalla prova di sfiducia di Mussolini, Graziani si ritira a vita privata a Casal Biancaneve, nella sua tenuta di Arcinazzo.
L’armistizio dell’8 settembre 1943 lo richiama a Roma dove, su insistenza di Mussolini, e pare anche di Hitler, assume la carica di ministro della Difesa nazionale della Repubblica sociale italiana. Gli risulta però subito chiaro che gli interessi tedeschi nella Rsi sono soverchianti.
Solo un mese più tardi, obbedendo alle pressanti richieste del Feld Maresciallo Albert Kesselring, Graziani firma i provvedimenti che costituiranno i principali capi d’accusa nel processo istruito a suo carico nel dopoguerra: il reclutamento di 300 mila lavoratori italiani per la Germania, il trasferimento obbligato di ufficiali dell’esercito in Italia settentrionale, il disarmo dei carabinieri di Roma e la loro deportazione in Germania.
Anche per il reclutamento delle forze armate della Rsi Graziani sottostà al volere di Hitler (reclutamento tra i giovanissimi, armamento a carico del governo italiano, addestramento in Germania, sono le condizioni poste dai tedeschi), con il risultato di trovarsi a capo di un esercito scarno e privo di mezzi, costretto a rivaleggiare con i volontari della X Mas di Junio Valerio Borghese, con la Milizia repubblicana che andava organizzandosi e con le bande fasciste che spadroneggiano nel territorio della RSI; è proprio per prendere le distanze da queste bande che Graziani chiederà di mutare il nome del suo dicastero da ministero della Difesa Nazionale in ministero delle Forze Armate.
D’altra parte il ruolo di Graziani in queste vicende si mantiene sempre ambiguo, se lui professa la sua buona fede e integrità, altri propendono per la sua assoluta connivenza e complicità in quanto stava avvenendo.
Controversa anche l’emanazione del decreto di applicazione della pena di morte per i renitenti alla leva, cui Graziani afferma in fase processuale di essersi opposto, ma che di fatto porta la sua firma.
Infine, nell’agosto del 1944 Graziani assume il comando dell’Armata Liguria, formazione mista composta da militari della Wehrmacht e dell’Esercito Nazionale Repubblicano, schierata lungo le Alpi e l’Appennino e impiegata soprattutto per attività di repressione antipartigiana.
All’indomani della Liberazione, il 27 aprile 1945, dopo un primo tentativo di fuga, Graziani si consegna prigioniero al capitano americano Emilio Daddario. Viene tradotto nel carcere di San Vittore a Milano, ma subito trasferito per essere sottratto al plotone d’esecuzione. Il 29 aprile firma l’atto di resa dell’Armata Liguria, poi viene condotto al campo 211 P.O.W. di Algeri come prigioniero di guerra. Il 17 febbraio 1946, accompagnato dal maggiore inglese Edwards, viene consegnato ai carabinieri per essere rinchiuso nel carcere di Procida. Durante i mesi della prigionia Graziani scrive la sua autobiografia e la propria memoria difensiva, poi pubblicata con il titolo “Ho difeso la patria”.
L’11 ottobre 1948 ha inizio il processo davanti alla Corte d’Assise Speciale di Roma. Le accuse sono pesanti. Il collegio difensivo di Graziani è formato dagli avvocati Francesco Carnelutti, Giacomo Primo Augenti e Giorgio Mastino Del Rio. Il 26 febbraio 1949 la Corte, accogliendo una richiesta della difesa, si dichiara “incompetente” e ordina la trasmissione degli atti alla Procura Militare. Dopo una seconda istruttoria, il 25 febbraio 1950 ha inizio il nuovo processo davanti al Tribunale Militare.
Graziani è accusato di collaborazionismo con i tedeschi in base a diversi capi d’imputazione, tra cui l’aver ricoperto l’incarico di ministro delle Forze Armate della Rsi, il trasferimento al nord di ufficiali dell’esercito residenti a Roma, il disarmo dei carabinieri di Roma, il reclutamento di molte migliaia di lavoratori italiani deportati in Germania, la condotta di operazioni di guerra anti-partigiana mediante rastrellamenti e combattimenti. Il dibattimento si conclude il 2 maggio 1950, dopo trentacinque udienze: Graziani viene condannato a 19 anni di reclusione, subito ridotti a quattro anni e cinque mesi per effetto del condono. A seguito di ricorso al Tribunale Militare Supremo il decorso della pena viene computato dal momento della sua detenzione in Algeria, annullando così il periodo di reclusione ancora da scontare. Il 29 aprile 1950 Graziani fa ritorno ad Affile, ma non smette di far parlare di sé.
Nel luglio del 1952 è nominato presidente dell’Associazione Nazionale Combattenti Repubblicani, neonata associazione combattentistica sorta con lo scopo di difendere i diritti e la memoria degli ex combattenti della Rsi. Nel marzo 1953 viene acclamato presidente onorario del Movimento Sociale Italiano. Nel frattempo partecipa a incontri e comizi, tra cui si ricorda un comizio di Giulio Andreotti, allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, avvenuto ad Arcinazzo il 4 maggio. In quell’occasione Graziani dichiara di riconoscere la positiva opera di ricostruzione del Paese condotta dalla Democrazia Cristiana in campo economico e militare, suscitando scalpore e all’interno del suo stesso partito. Per questo e per altre incomprensioni il 16 luglio 1954 Graziani si dimette dalla presidenza onoraria del partito.
Gravemente malato, muore la mattina dell’11 gennaio 1955, lasciando nel testamento una precisa disposizione perché fossero rimessi all’autorità competente tutti i documenti in suo possesso che potessero avere un interesse storico o politico.

Bibliografia essenziale
G.P. Augenti, G. Mastino del Rio, F. Carnelutti, “Il dramma di Graziani nelle arringhe della difesa”, Bologna, Zuffi, 1950.
Alessandro Cova, “Graziani, un generale per il regime”, Roma, Newton Compton, 1987.
Rodolfo Graziani, “Una vita per l’Italia. Ho difeso la patria", Milano, Mursia, 1986.
Giuseppe Mayda, “Graziani l’Africano. Da Neghelli a Salò”, Firenze, La Nuova Italia, 1992.
Romano Canosa, “Graziani. Il maresciallo d’Italia, dalla guerra d’Etiopia alla Repubblica di Salò”, Milano, Mondadori, 2004.
Mauro Canali, “Rodolfo Graziani. Diari 1940-1941”, Nuova Argos, 2021.

Complessi archivistici

Compilatori

  • Prima redazione: Mara Pozzi (archivista)
  • Rielaborazione: Laura Soggetti (archivista) - Data intervento: 09 maggio 2025