Carceri (1860 - 1928)

Cenni storici e di legislazione carceraria dall’Unità al primo dopoguerra
1860-1862: le riforme carcerarie dopo l’Unità
Raggiunta l’Unità si avvertì in Italia la necessità di raccogliere e uniformare, in maniera organica e sistematica, tutta la legislazione vigente in ogni settore del diritto e anche per il diritto penitenziario fu avvertita la stessa esigenza. Dopo l’estensione del codice penale sardo a tutte le province italiane, il Governo nell’arco di due anni emanò cinque nuovi regolamenti relativi alle diverse tipologie di stabilimenti carcerari, così classificati:
- bagni penali (regio decreto 19 settembre 1860)
- carceri giudiziarie (regio decreto 27 gennaio 1861, n. 4681)
- case di pena (regio decreto 13 gennaio 1862, n. 413)
- case di relegazione (regio decreto 28 agosto 1862, n. 813)
- case di custodia (regio decreto 27 novembre 1862, n. 1018).
Ogni regolamento disciplinava il funzionamento degli istituti e gli organici del personale di custodia e amministrativo.
Le case di pena, di relegazione, di custodia e le carceri giudiziarie dipendevano dal ministero dell’interno. I bagni penali, dipendenti dal ministero della marina, nei quali, dal 1865, si scontavano quasi esclusivamente pene per i delitti comuni, dal 1° gennaio 1867 passarono anch’essi sotto la dipendenza del ministero dell’interno, per effetto del regio decreto del 29 novembre 1866, n. 3411.
Le carceri giudiziarie erano destinate alla custodia degli imputati, ai detenuti condannati a pene corporali durante il giudizio di appello e di cassazione, ai condannati alla pena del carcere fino a sei mesi, ai condannati a pene maggiori di sei mesi di carcere inabili, per motivi di salute, al lavoro nelle case di pena, agli arrestati per disposizione e all’autorità di pubblica sicurezza, per debiti, per i detenuti in transito.
Le case di pena comprendevano le case di forza destinate ai condannati alla reclusione; i castelli per i condannati alla relegazione; le case di correzione per i condannati alla custodia e gli stabilimenti penali esistenti nelle Province Toscane. Alle case di forza erano destinate le donne condannate ai lavori forzati. La pena della relegazione era destinata ai condannati per i crimini contro la sicurezza interna o esterna dello Stato; le case penali di custodia erano destinate ai giovani.
Il regolamento adottava il sistema della separazione notturna e del lavoro obbligatorio in comune diurno con l’imposizione continua del silenzio assoluto.
Nel 1861 con regio decreto 9 ottobre 1861, n. 255 fu istituita la Direzione generale delle carceri dipendente dal ministero dell’interno, in sostituzione dell’Ispettorato generale delle carceri, vecchia divisione del ministero, creata nel 1849 dal Regno sardo, al cui vertice era stato posto un ispettore generale.

Il regolamento del 1891
Nel 1889 venne emanato il codice penale Zanardelli, entrato in vigore il 1° gennaio 1890, che sostituì il codice penale sardo emanato nel 1859 ed esteso a tutte le province italiane, ad eccezione della Toscana, dopo l’Unità. Al 1889 risale anche la prima legge relativa all’edilizia penitenziaria e agli stanziamenti di bilancio per farvi fronte (legge 14 luglio 1889, n. 6165).
Gli istituti realizzati in questo periodo si ispirarono al modello indicato da Crispi, portando alla formazione di una nuova tipologia carceraria caratterizzata dal sistema cellulare.
La riforma penitenziaria del 1889 pose per la prima volta il problema della disponibilità delle strutture. A tal fine si prevedeva di reperire i proventi necessari per l’edilizia penitenziaria dalle lavorazioni carcerarie, dalla vendita di alcuni immobili e da economie realizzate su altri capitoli di bilancio dell’amministrazione carceraria che, all’epoca, gestiva direttamente la sua edilizia disponendo, a tal fine, di un proprio ufficio tecnico che il direttore generale Beltrani Scalia aveva organizzato già nel 1888 redigendone apposito ordinamento. Successivamente nel 1931 le competenze tecniche in materia di edilizia penitenziaria vennero concentrate nel ministero dei lavori pubblici, e il personale tecnico trasferito agli uffici del Genio Civile: all’amministrazione penitenziaria rimane un solo ingegnere, con funzioni ispettive, Carlo Vittorio Varetti.
La legge del 1889 sull’edilizia penitenziaria, unitamente al codice penale Zanardelli, costituì il presupposto per l’emanazione del Regolamento generale degli Stabilimenti carcerari e dei riformatori giudiziari avvenuta con regio decreto 1 febbraio 1891, n. 260.
Venne abolita la pena di morte (sostituita con l’ergastolo) ma restarono severissime le pene per i reati contro la proprietà.
Il nuovo regolamento, costituito da ben 891 articoli, venne additato come un modello nel suo genere, ma il grave stato di decadenza degli stabilimenti carcerari impedì non solo l’attuazione ma anche la sperimentazione del regolamento.
Presupposto essenziale per l’applicazione del regolamento del 1891 era infatti l’attuazione della legge del 1889 sull’edilizia penitenziaria, che prevedeva lo stanziamento iniziale di 15 milioni, programmando un periodo di dodici anni per il compimento della riforma. A causa di progressive riduzioni di spesa e poi della sospensione totale dei fondi stanziati per l’edilizia penitenziaria, la riforma edilizia non venne attuata. Il Italia continuavano a mancare gli stabilimenti necessari per far scontare le pene secondo la normativa dettata dal codice penale e dal regolamento carcerario.
Il regolamento prevedeva una minuziosa classificazione dei vari tipi di stabilimenti carcerari che non avrà nessun riscontro pratico, poiché presupponeva un piano di sviluppo edilizio rimasto praticamente inattuato. Anche il problema del sistema carcerario (a segregazione continua o graduale) non assume particolare importanza nel regolamento del 1891, in quanto da un lato la scelta è stata operata precedentemente dal codice penale Zanardelli del 1889, dall’altro lo stato di grave deficienza degli stabilimenti carcerari impedirà di sperimentare i criteri dell’esecuzione delle pene stabiliti dal codice penale e ribaditi dal regolamento.
Il regolamento del 1891 prevedeva un sistema molto ricco e articolato di norme sull’ordinamento del personale dirigenziale e sul corpo degli agenti di custodia. In particolare le guardie carcerarie costituivano un corpo organizzato militarmente soggetto a gerarchia e disciplina militare rigidissime che quasi li assimilava alla popolazione detenuta.
Il regolamento conteneva disposizioni volte ad instaurare rapporti di rigida subordinazione gerarchica tra i direttori degli stabilimenti e la Direzione generale e scoraggiare qualsiasi iniziativa autonoma e responsabilizzazione delle autorità locali. Questo sistema si ripercosse negativamente sulla vita dei detenuti costretti a dipendere dalle autorità centrali anche per questioni di poca importanza e attendere per mesi una risposta a istanze elementari.
Per quanto riguarda i detenuti il regolamento era incentrato sul sistema delle punizioni e ricompense intorno al quale ruota la vita carceraria.
Il regolamento prevedeva alcuni istituti che avrebbero potuto introdurre qualche miglioramento nella vita carceraria, ma non furono istituiti o ebbero ridotta attività. Uno di questi è il Consiglio delle carceri, istituito con regio decreto 6 marzo 1890, n. 6829, presieduto dal ministro dell’interno e composto dal direttore generale delle carceri e da altri sei membri nominati dal ministro, che rimase inattuato fino al 1897.

Riforme e continuità delle strutture carcerarie nell’età giolittiana
Nel periodo “giolittiano” (caratterizzato da governi con indirizzi politici liberali), il regolamento del 1891 subì alcune importanti modifiche tendenti a mitigare le condizioni disumane dei detenuti. Venne soppresso l’uso della catena al piede per i condannati ai lavori forzati e furono introdotte modifiche al rigido sistema delle sanzioni disciplinari, eliminando le punizioni della camicia di forza, dei ferri e della cella oscura. I ferri saranno di fatto aboliti soltanto nel 1902, con l’articolo unico del regio decreto n. 337 del 2 agosto.
Il successivo regio decreto 14 novembre 1903, n. 484 sancì l’abolizione della camicia di forza, dei ferri e della cella oscura, mezzi che avevano fallito nella loro funzione di deterrente per i comportamenti indisciplinati dei detenuti.
Il terzo filone su cui si indirizza l’attività riformatrice nei primi anni del Novecento riguarda l’impiego dei condannati in lavori di bonifica di terreni incolti o malarici regolato dalla legge 26 giugno 1904, n. 285. Rimase fermo tuttavia il quadro legislativo del periodo crispino: codice penale, leggi di pubblica sicurezza, ordinamento giudiziario non vennero toccati da Giolitti.

Gli interventi legislativi prima della guerra mondiale
Le strutture legislative e la prassi nella gestione delle istituzioni penitenziarie non subirono sensibili mutamenti nel periodo che intercorre tra le prime riforme giolittiane e la conclusione della guerra mondiale. Si susseguirono modeste innovazioni legislative, progetti di riforma non andati a compimento, scandali e proteste per le deprecabili condizioni degli stabilimenti di pena, interrogazioni parlamentari e risposte governative che non produssero importanti cambiamenti.
L’intervento di maggior rilievo fu il regio decreto 24 marzo 1907 n. 150, che approva il nuovo regolamento per gli agenti di custodia, pur non recando modifiche sostanziali alla disciplina del 1890. La nuova legge contribuì a mantenere e acuire il clima di tensione e di contrasto esistente tra custodi e custoditi. Sempre nel 1907 con regio decreto 14 luglio n. 606 venne attuato un completo riordinamento dei riformatori governativi per minorenni e istituito per i minori un corpo di educatori in luogo delle guardie carcerarie.

1922 – 1923: riforme al regolamento carcerario e passaggio dell’amministrazione carceraria dal ministero dell’interno a quello della giustizia
Le tensioni sociali del dopoguerra non investirono la popolazione carceraria: sino al 1920 tutto procede secondo la norma e i detenuti sono una delle pochissime categorie rimaste tranquille. Il principio che i detenuti dovevano essere oggetto di cura più che di repressione, di rieducazione più che di punizione, trovò una applicazione pratica nel 1921 e 1922 in una serie di circolari innovatrici che determinarono alcuni miglioramenti nel trattamento dei detenuti.
La maggior parte delle innovazioni introdotte dai diversi provvedimenti ministeriali diverranno parte integrante del regolamento carcerario con la riforma introdotta dal regio decreto 19 febbraio 1922, n. 393. Le principali modifiche riguardarono: il lavoro svolto in carcere dai detenuti; i colloqui; la corrispondenza; la disciplina delle case di rigore.
Con regio decreto 31 dicembre 1922 n. 1718 la Direzione generale delle carceri e riformatori venne trasferita a partire dal 15 gennaio 1923, dal ministero dell’interno a quello della giustizia, unitamente a tutti i servizi attribuiti alla sua competenza. Con successivo regio decreto 28 giugno 1923 n. 1890 vennero emanate le norme di esecuzione, in base alle quali le competenze in materia penitenziaria, prima attribuite al ministero dell’interno, al prefetto e al viceprefetto, furono rispettivamente assegnate al ministro delle giustizia, al procuratore generale presso la Corte d’appello e al procuratore del re.
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Fonti normative
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- regio decreto 27 gennaio 1861, n. 4681, “Regolamento generale per le carceri giudiziarie del Regno” (= r.d. 4681/1861)
- regio decreto 13 gennaio 1862, n. 413, “Regolamento Generale per le Case di Pena del Regno” (= r.d. 413/1862)
- regio decreto 28 agosto 1862, n. 813, “Regolamento Generale per le Case di Relegazione del Regno” (= r.d. 813/1862)
- regio decreto 27 novembre 1862, n. 1018, “Regolamento Generale per le Case di Custodia del Regno” (= r.d. 1018/1862)
- regio decreto 29 novembre 1866, n. 3411 (passaggio dei bagni penali alle dipendenze del ministero dell’interno) (= r.d. 3411/1866)
- regio decreto 14 luglio 1889, n. 6165, (relativa all’edilizia penitenziaria e agli stanziamenti di bilancio per farvi fronte) (= r.d. 6165/1889)
- regio decreto 6 marzo 1890, n. 6829 (istituzione del Consiglio delle carceri) (= r.d. 6829/1890)
- regio decreto 1 febbraio 1891, n. 260, “Regolamento generale per gli stabilimenti carcerari e per riformatori del Regno” (= r.d. 260/1891)
- regio decreto 2 agosto 1902, n. 337 (= r.d. 337/1902)
- regio decreto 14 novembre 1903, n. 484 (abolisce la camicia di forza, i ferri e la cella oscura) (= r.d. 484/1903)
- regio decreto 26 giugno 1904, n. 285, “Sull’impiego dei condannati in lavori di bonificazione di terreni incolti e malarici” (= r.d. 285/1904)
- regio decreto 24 marzo 1907, n. 150, “Che approva il regolamento per il Corpo degli Agenti di Custodia delle carceri” (= r.d. 150/1907)
- regio decreto 14 luglio 1907, n. 606 “Che approva il regolamento per i riformatori governativi” (= r.d. 606/1907)
- regio decreto 23 dicembre 1920, n. 1921, “Regolamento per il corpo degli agenti di custodia delle carceri” (= r.d. 1921/1920)
- regio decreto 19 febbraio 1922, n. 393, “Che apporta modificazioni al regolamento generale carcerario 1 febbraio 1891, n. 260” (= r.d. 393/1922)
- regio decreto 31 dicembre 1922, n. 1718, “Che stabilisce il passaggio della Direzione generale delle carceri e dei riformatori dal Ministero dell’interno a quello della giustizia e degli affari di culto” (= r.d. 1718/1922)
- regio decreto 28 giugno 1923, n. 1890, “Norme circa l’amministrazione delle carceri e dei riformatori e gli agenti di custodia” (= r.d. 1890/1923)
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(Redazione a cura di Antonella Cassetti 2007)

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