Carcere giudiziario di San Vittore ( 1879 - )

Tipologia: Ente

Altre denominazioni: Casa Circondariale di San Vittore [Legge del 26 Luglio 1975, n. 354, "Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà" art. 60 Cronologia: 1975]

Condizione: pubblico

Sede: Milano

Codici identificativi

  • MIDB000D16 (PLAIN) [Verificato il 22/10/2013]

Profilo storico / Biografia

CARCERI MILANESI NELL’OTTOCENTO
Nella Milano di metà Ottocento esistevano diversi luoghi destinati alla detenzione:
- la Casa di Correzione, costruita nella zona di Porta Nuova a partire dal 1762, su disegno di Francesco Croce e utilizzata già dal maggio 1766, ma mai completata, fu smantellata nel 1932
- il carcere del Castello (Sforzesco) dove un tempo venivano reclusi i prigionieri politici e dove furono trasferiti i detenuti provenienti dal carcere di Santa Margherita, abbattuto per costruire l’attuale galleria Vittorio Emanuele (1864 – 1878);
- il carcere criminale presso il tribunale correzionale, situato nelle vicinanze di Piazza Fontana;
- il carcere di Sant’Antonio, in cui venivano recluse prevalentemente le donne;
- il carcere di San Vittore Nuovo;
- il carcere di San Vittore Vecchio.
Non si hanno notizie certe su quale dei due carceri di San Vittore avesse sede nella chiesa e convento dei Cappuccini di San Vittore.
Nel dibattito ottocentesco sulle forme carcerarie si andava affermando la convinzione secondo cui la promiscuità poteva favorire l’attitudine a delinquere e impedire il ravvedimento dei singoli. Seguendo una filosofia tesa ad un controllo sempre più razionalizzato dei detenuti, si cominciavano a progettare carceri dotati di celle singole, per questo detti “cellulari o cellari”.
A Milano il risultato più evidente di questo lungo percorso di regolamentazione degli stabilimenti penali, che tra la fine del Settecento e i primi dell’Ottocento comportò una certa transizione da forme espiative tradizionali ad una penalità centrata sulla detenzione, fu la costruzione del carcere di San Vittore.
Tutti i vecchi stabilimenti carcerari milanesi furono abbandonati quando, il 24 giugno 1879, venne inaugurato il nuovo carcere cellulare, l’attuale carcere di San Vittore, per trasferirvi la sede del carcere giudiziario. Nel nuovo carcere vennero trasportati 577 detenuti che si trovavano negli altri stabilimenti milanesi. Il carcere fu costruito sul modello americano, cosiddetto panottico, con un corpo centrale e sei bracci o raggi che si dipartivano da esso.

LE VICENDE COSTRUTTIVE DI SAN VITTORE
La Commissione visitatrice delle carceri giudiziarie milanesi nominata nell’agosto del 1861, (la nomina di tale commissione era prevista dal Regolamento generale sulle carcere giudiziarie del Regno emanato il 27 gennaio 1861), con il compito di fare un esame dettagliato delle condizioni degli istituti di detenzione cittadini, denunciava nel suo rapporto il pessimo stato igienico delle carceri milanesi.
Gli istituti di pena, in funzione intorno al 1860 erano tre, divisi in tre quartiere separati della città:
- il carcere del Tribunale (ex palazzo di giustizia) situato tra piazza Beccaria e vicolo San Zeno, dove venivano rinchiusi gli imputati in attesa di giudizio e i condannati prossimi al trasferimento
- il carcere della Questura, detto di Santa Margherita, per gli arresti di passaggio, le prostitute e i debitori
- il carcere della Pretura, nell’ex convento di Sant’Antonio, destinato soprattutto a mendicanti e vagabondi.
Durante i lavori di demolizione dell’edificio della Questura, per la sistemazione di piazza del Duomo, i detenuti vennero trasferiti provvisoriamente nelle celle ricavate nei sotterranei del Castello, e più tardi, dopo l’abbandono completo delle prigioni di Santa Margherita e di quelle del Castello, nel convento e nella chiesa dei Cappuccini di San Vittore.
Le carceri milanesi potevano ospitare complessivamente 902 detenuti; l’ex convento dei Cappuccini poteva accogliere nei due soli camerini esistenti fino a 150 – 200 detenuti.
Ma lo stato degli stabilimenti era deplorevole e impossibile l’adozione del sistema cellulare o dell’isolamento.
Inoltre la distanza fra i detti fabbricati rendeva difficile lo svolgimento di questo importante compito governativo, tanto più che la Direzione generale delle carceri stesse non aveva alcun ufficio in nessuno dei tre fabbricati sopra indicati, e per mancanza di locali convenienti era stata collocata in una casa d’affitto indipendente dai medesimi.
Occorreva regolare questo servizio e provvedere ad un risanamento stante le pessime condizioni in cui si trovavano i fabbricati stessi e di conseguenza i detenuti.
In San Vittore si trovavano, in due cameroni in cui era stata divisa la chiesa, agglomerati fino a 150 detenuti sul pavimento di nuda terra e in regime di promiscuità.
Le continue denunce presentate dalla Commissione visitatrice circa le disastrose condizioni delle prigioni cittadine indussero il Governo italiano nel 1864 ad ordinare all’Ufficio del Genio civile per i fabbricati demaniali la stesura di un progetto per la costruzione di un nuovo carcere giudiziario cellulare, in conformità della segregazione notturna e del lavoro comune durante il giorno dei detenuti, sopra un’area di cinquantamila metri quadrati acquistata dentro i Bastioni di Porta Vercellina, presso la chiesa di San Vittore.
I tecnici del Genio civile incaricati della redazione del progetto per il nuovo carcere giudiziario di Milano portarono a termine il loro lavoro in breve tempo: ad un primo piano del novembre 1865 ritenuto inadeguato, ne seguì un secondo che il 15 maggio 1867 fu approvato dal Consiglio superiore dei lavori pubblici.
Ragioni di carattere economico e tecnico influenzarono la scelta dell’area per l’ubicazione dell’edificio. Sin dal dicembre 1865 lo Stato aveva stipulato convenzioni con opere pie per l’acquisto di parte dei terreni. Il Comune di Milano, aderendo alle convenzioni, si prestava ad acquistare quote di terreno eccedenti rispetto a quelle previste dal progetto e si impegnava ad aprire due strade confinanti con il nuovo carcere.
Il Comune accettava inoltre di vincolare i terreni circostanti l’edificio alla servitù del “non altius tollendi” al divieto cioè di fabbricare ad un’altezza superiore a 5 metri fino ad una distanza di 30 metri dal muro di cinta ed ad un’altezza superiore a 11 metri tra i 30 e 50 metri di distanza dal carcere. Esso doveva essere completamente isolato e privo di comunicazioni visuali con edifici limitrofi.
Le ristrettezze finanziarie dello Stato impedirono la concretizzazione degli accordi e nel gennaio 1869 il Ministero dell’Interno notificò al Comune la impossibilità di stanziare alcuna somma per la costruzione del carcere. Per evitare un rinvio a tempo indeterminato dei lavori, il prefetto di Milano promosse il 10 maggio 1869 un incontro tra le parti interessate che si concluse con la proposta della assunzione diretta, da parte del Comune, dei lavori di costruzione dell’istituto di pena (nella prima fase era prevista l’edificazione di soli trequarti del progettato edificio). Lo Stato avrebbe ceduto il fabbricato della Questura e un certo numero di edifici demaniali, tra i quali il palazzo di Giustizia, l’ex convento di S. Antonio e quello di S. Michele alla Chiusa (sede della caserma delle guardie daziarie).
In questo modo il Comune accelerava i tempi per la realizzazione del carcere, evitava il pagamento della somma dovuta allo Stato per l’acquisto della Questura e inoltre si assicurava il possesso di alcuni stabili che sarebbero presto risultati utili. Il Consiglio comunale autorizzò l’accordo con la deliberazione del 23 novembre 1870. Ottenuta tale approvazione, la Giunta e il Governo procedettero alla firma della relativa convenzione in data 13 giugno 1871 (approvata con regio decreto del 3 luglio 1871).
Il Comune di impegnava a costruire il carcere cellare giudiziario, esclusi gli ultimi due raggi del fabbricato panottico, secondo il progetto redatto tra il 1865 e il 1867 dai tecnici del Genio civile guidati dall’ingegnere capo Francesco Lucca. Il progetto applicava per lo più le disposizioni emanate dal Ministero dell’interno sulla base della legge 27 giugno 1857.
Il nuovo edificio doveva sorgere entro la cerchia dei bastioni tra porta Genova e Magenta, occupava un’area di forma pentagonale di 49.695 mq con una fronte in via Filangieri, perfettamente isolata e tutta circondata da muro di cinta ai cui vertici si trovavano cinque torrette ad uso di garitta.
Il complesso carcerario era costituito da tre distinti corpi di fabbrica: uno anteriore verso piazza Filangieri destinato agli uffici e agli alloggi del personale; uno intermedio con diverse destinazioni (tra cui uffici della direzione carceraria, sale dei giudici e avvocati, parlatori, magazzini, bagni ed infermerie, dormitori dei guardiani); e il terzo di forma panottica o a raggi per le celle dei detenuti. Al centro del terzo edificio si trovava una grande rotonda, da cui si diramavano sei raggi (lunghi m. 62,50, larghi m. 16 e alti m. 18,80), contenenti ognuno 100 celle disposte su tre piani; nel sottotetto vi era un quarto ordine di celle più piccole da utilizzarsi in caso di necessità.
Le celle misuravano per lo più m. 2,30 X 4,30 ed erano alte m. 3,40 ed erano dotate di una finestra a strombo che impediva la visuale esterna.
I corridoi dei diversi raggi convergevano alla rotonda centrale, dove si trovava l’osservatorio, costituito da un poligono di sedici lati coperto da una cupola.
Nei cortili che circondavano gli edifici erano distribuite otto cosiddette “rose di passeggio” a pianta circolare per l’ora d’aria dei detenuti
La direzione lavori venne affidata all’ingegnere Francesco Lucca, autore del progetto. Il Comune decise di appaltare le diverse opere a più imprese e i lavori iniziarono a giugno 1872.
Le condizioni del terreno (poco solido a causa della presenza di acque sotterranee a pochi metri di profondità) nella fase della costruzione delle fondamenta comportarono un aggravio finanziario, che unito ad aumenti di spesa dovuti a modifiche del progetto, indussero il Comune a richiedere al Ministero dell’Interno una revisione del contratto. Intanto si avviavano trattative per il completamento del progetto con la costruzione dei due restanti bracci, non previsti nella convenzione del 1871. Nel 1875 si giunse ad un nuovo contratto tra lo Stato e il Comune di Milano in base al quale il Comune si assumeva con un contratto a forfait, l’onere di tutti i lavori necessari al completamento del nuovo carcere, in cambio della cessione di altri edifici demaniali.
Intanto la direzione lavori era stata assunta dall’ingegnere Antonio Cantalupi, in seguito alla morte del Lucca.
Tra numerose difficoltà, intralci dovuti alla cattiva esecuzione di opere in appalto e relativi rifacimenti, si giunse alla conclusione dei lavori. Un primo collaudo dell’edificio venne effettuato tra il 21 novembre e il 3 dicembre 1878 da un ingegnere capo del Genio civile da cui emerse che il carcere era lontano dall’essere attivabile a causa di difetti e carenze diverse (le celle venivano allagate dalle acque piovane). Il Comune eliminò gli inconvenienti denunciati e si procedette ad una seconda visita di collaudo. Con verbale del 13 maggio 1879 il carcere veniva dichiarato agibile. Il giorno 24 giugno ebbe inizio alla traduzione dei detenuti dalle varie carceri cittadine e il 10 luglio il nuovo carcere cellulare poteva considerarsi definitivamente attivato.
Le spese di costruzione dell’edificio ammontarono complessivamente a L. 2.800.000 e poiché il nuovo carcere era in grado di contenere 768 detenuti, la spesa per ciascun individuo fu di L. 3.645.
Subito dopo il completamento della costruzione iniziarono ad essere pubblicate note di critica riguardo soprattutto alla ubicazione dello stabilimento, alla scarsa salubrità della zona, alle precarie condizioni igieniche delle celle, e in generale dell’edificio.
E’ probabile che, anche a seguito delle numerose polemiche e critiche, venissero ritardate le operazioni di collaudo e di liquidazione delle spese. Ancora nel 1887, infatti, era in corso una vertenza tra l’amministrazione dello Stato e il Comune di Milano circa il saldo degli oneri di costruzione. Il contrasto venne risolto insieme ad altre due pendenze tra lo Stato e il Comune di Milano, con un accordo riguardante anche le spese sostenute dal Comune per la cura dei feriti e il trasporto dei militari durante la guerra del 1859, nonché il contributo comunale alle spese per la costruzione della ferrovia del Gottardo. Si concludeva così la vicenda quasi ventennale del carcere cellulare. Lo Stato era entrato in possesso di un edificio pubblico necessario senza esborso di capitali e anche il Comune aveva ricavato dalla operazione notevoli vantaggi, consistenti soprattutto nella acquisizione di numerosi beni demaniali tra cui diversi edifici destinati ad uffici giudiziari.

SAN VITTORE DURANTE L’OCCUPAZIONE FASCISTA
Durante il periodo bellico il carcere di San Vittore fu soggetto in parte alla giurisdizione delle S.S. tedesche che controllavano e gestivano uno dei suoi “bracci”.
Le vicende riguardanti il famigerato “braccio tedesco” sono poco documentate dalle carte e molto di più dal ricordo e dalle testimonianze di coloro che vi sopravvissero.
In un documento ufficiale del 1944 (AS MI – Gabinetto di prefettura secondo versamento – busta n. 396 – fascicolo categoria 37: documento del 2/11/1944 “Appunti al Duce. Carceri giudiziarie” firmato da Mario Bassi) si legge quanto segue:
“… Nel carcere esiste un braccio tedesco ed un tribunale germanico. Questo giudica i cittadini italiani colà ristretti non secondo le leggi italiane, e quindi non applica le pene stabilite nel codice e nella procedura del diritto penale italiano o militare, a seconda dei casi. Le pene inflitte sono ordinariamente quelle detentive. I detenuti ristretti nelle sezioni tedesche, sui quali l’autorità italiana non ha alcuna influenza, sono soggetti ai regolamenti germanici, e a questi è preposto un sottufficiale delle S.S. alle dirette dipendenze dell’albergo Regina, ove siede il Comando per la Lombardia delle S.S. (colonnello Rauff). I detenuti colà ristretti appena giudicati dal tribunale germanico, vengono inviati per il servizio del lavoro in Germania se innocenti,sempre che siano fisicamente idonee Se gravemente compromessi vengono inviati in campi di concentramento. In Germania vengono avviati per il lavoro anche i detenuti irrevocabilmente condannati, gli imputati che abbiano ottenuto la libertà provvisoria e gli inquisiti per i quali sia stata disposta la scarcerazione dall’autorità amministrativa”.
Luigi Borgomaneri, autore di un saggio sul capo della Gestapo Theodor Saevecke e consulente nel processo a carico dell’ex capitano delle SS tedesche, fornisce diverse testimonianze su ciò che accadeva all’interno di San Vittore dal 1943 al 1945.
Dei molti detenuti entrati e usciti dal “braccio tedesco” di San Vittore si trova testimonianza nei registri di iscrizione (libri matricola) che sono custoditi presso diversi istituti di conservazione. Due di questi si trovano nell’Archivio di Stato di Milano (AS MI – Carceri giudiziarie di Milano – serie Registri di iscrizione dei detenuti – pezzi n. 235 e 236), altri presso il Museo del Risorgimento di Milano e presso la Fondazione ISEC – Istituto per la Storia dell’Età Contemporanea di Sesto San Giovanni (Fondo Carte Panizza).

Complessi archivistici

Profili istituzionali

Fonti

  • GROTTANELLI, San Vittore = GROTTANELLI E., L'amministrazione comunale di Milano e la costruzione del carcere di San Vittore, in "Storia in Lombardia" quadrimestrale dell'Istituto lombardo per la storia del movimento di liberazione in Italia, Milano, Franco Angeli Editore, anno IV, n. 2, 1985
  • MAGRIGLIO, Carceri e tribunali = MAGRIGLIO T., Carceri e Tribunali, in Milano tecnica dal 1859 al 1884, pubblicazione fatta a cura del Collegio degli Ingegneri ed Architetti, Milano, Hoepli, 1885
  • BORGOMANERI, Saevecke, risorsa Internet = Versione aggiornata del saggio di LUIGI BORGOMANERI, Hitler a Milano: crimini di Theodor Saevecke capo della Gestapo, Roma, Datanews, 1997, alla luce delle nuove fonti emerse nel corso del processo celebrato dal Tribunale militare di Torino a carico dell'ex capitano delle SS Theo Saevecke, condannato all'ergastolo il 9 giugno 1999 in <http://www.www.associazioni.milano.it/isec/ita/memoria/hitlermi.htm>, Risorsa Internet verificata il 20 marzo 2007

Compilatori

  • Integrazione success: Antonella Cassetti (archivista) - Data intervento: 01 gennaio 2000
  • Prima redazione: Antonella Cassetti (archivista) - Data intervento: 01 gennaio 2006