Carceri (1928 - 1975)
Cenni storici e di legislazione carceraria dall’epoca fascista al regolamento del 1975
La legislazione penitenziaria nel regime fascista: il regolamento Rocco del 1931
Con l’avvento del fascismo i tentativi di riforma del 1920 subirono un arresto e si ripiombò nell’immobilismo che aveva caratterizzato il settore. Non si sperimentarono più riforme, ma ci si limitò a nominare commissioni di studio sulle questioni carcerarie.
Con regio decreto 5 aprile 1928, n. 828, la Direzione generale delle carceri e dei riformatori assunse la nuova denominazione di Direzione generale per gli istituti di prevenzione e di pena.
Nel 1930 vennero approvati il nuovo codice penale “Codice Rocco” e nel 1931 il nuovo codice di procedura penale.
Con regio decreto 18 giugno 1931, n. 787 venne approvato dal guardasigilli Alfredo Rocco il nuovo “Regolamento per gli Istituti di prevenzione e di pena”, fedele traduzione dell’ideologia fascista nel settore penitenziario, che rimarrà in vigore fino al 1975.
Non venne varato un ordinamento radicalmente nuovo perché il regolamento del 1891 viene sostanzialmente mantenuto. Rimangono le tre leggi fondamentali della vita carceraria (lavoro, istruzione civile e pratiche religiose) che divengono tassative, nel senso che ogni altra attività è non solo vietata ma fatta oggetto di sanzioni disciplinari.
I punti qualificanti del regolamento Rocco sono:
- rigida separazione tra il mondo carcerario e la realtà esterna
- limitazione delle attività consentite in carcere alle tre leggi fondamentali del trattamento (pratiche religiose, lavoro e istruzione)
- isolamento dei detenuti all’interno degli istituti carcerari
- esclusione dal carcere di qualsiasi persona estranea cioè non inserita nella gerarchia e non sottoposta alla disciplina penitenziaria
- obbligo di chiamare i detenuti con il numero di matricola (al posto del cognome) volto alla soppressione della personalità del detenuto
- carcere come istituzione chiusa.
Il Regolamento carcerario del 1931 suddivideva le carceri in tre gruppi: carceri di custodia preventiva, carceri per l’esecuzione di pena ordinaria e carceri per l’esecuzione di pena speciale.
Secondo il regolamento del 1931 il carcere giudiziario era uno stabilimento di custodia preventiva, cioè riservato a coloro che devono ancora essere giudicati, ma sono stati arrestati per assicurarne la presenza al processo. Alle carceri giudiziarie erano assegnati, a norma dell’art. 26 del regolamento del 1931: gli imputati; i detenuti a disposizione dell’autorità di pubblica sicurezza o di altra autorità; gli arrestati per ragioni di estradizione;i detenuti in transito; i condannati in attesa di assegnazione a stabilimenti di pena.
Data la loro natura di stabilimenti di custodia preventiva, nelle carceri giudiziarie non dovevano trovarsi condannati in espiazione di pena. In deroga a questa norma, però, condannati alla reclusione per un tempo non superiore ai due anni potevano essere assegnati a questi istituti.
Come tutti i regolamenti carcerari era basato sulla dualità punizione – premi ed elencava dettagliatamente tutto ciò che era vietato prevedendone la relativa punizione. Ad esempio, erano vietati e puniti: i reclami collettivi, il contegno irrispettoso, l’uso di parole blasfeme, i giochi, il possesso delle carte da gioco, i canti, il riposo in branda durante il giorno non giustificato da malattie o altro, il rifiuto di presenziare alle funzioni religiose, il possesso di un ago, di un mozzicone di matita, la lettura o il possesso di testi o periodici di contenuto politico oppure con immagini di nudi o seminudi. Era consentito scrivere non più di due lettere alla settimana ai familiari stretti ma non alla stessa persona (per far ciò veniva consegnata una matita e un foglio di carta che dovevano essere riconsegnati al termine della scrittura). Era obbligatorio: indossare divise del carcere (quelle a strisce per i condannati definitivi), farsi trovare in piedi vicino alla branda ben ordinata tutte le volte che le guardie entravano in cella per la conta o altro. Non era permesso leggere giornali politici e i quotidiani e settimanali consentiti venivano abbondantemente censurati tagliando gli articoli ritenuti non idonei. Durante i colloqui con i parenti, che avvenivano tra reti metalliche distanziate, era previsto l’ascolto da parte delle guardie. Le punizioni andavano dalla semplice ammonizione del direttore alla cella d’isolamento, ed erano previste sanzioni come il divieto di fumare, di scrivere, di lavarsi, di radersi per alcuni giorni, l’interruzione dei colloqui, la sottrazione del pagliericcio, fino al letto di contenzione (non solo nei manicomi), la camicia di forza e la cella “imbottita”. Molte infrazioni avevano risvolti “penali” ossia facevano scattare denunce e condanne che allungavano la pena. I benefici consistevano sostanzialmente nella possibilità di accedere al lavoro in carcere oppure nell’assegnazione a un carcere “aperto”. Il detenuto, nel suo percorso carcerario, era sempre seguito dalla “cartella biografica” personale, una vera e propria schedatura nella quale si annotavano, oltre ai suoi comportamenti in carcere, anche i suoi precedenti personali e perfino quelli dei familiari, indagando se nella sua famiglia c’erano stati casi di pazzia, alcoolismo, sifilide, suicidio, o di prostituzione, segnalando anche le condizioni economiche e sopratutto le idee politiche di ogni parente.
Al regolamento del 1931 fece seguito la legge 9 maggio 1932, n. 527 “Disposizioni sulla riforma penitenziaria” composta di solo cinque articoli concernenti il lavoro dei detenuti, la ristrutturazione dell’edilizia carceraria, la contabilità carceraria e le istituzioni di assistenza ai carcerati. Questa seconda riforma penitenziaria non prevedeva uno specifico programma di finanziamento per l’edilizia. Essa, pertanto, iniziò a dipendere dai programmi e dai fondi del ministero dei lavori pubblici i quali si rivelarono del tutto insufficienti ad affrontare i complessi problemi dei manufatti penitenziari. Questo condusse ad un graduale decadimento del modello architettonico e alla realizzazione di edifici carcerari meno imponenti dei precedenti.
Nel 1934 vennero approvate altre leggi (n. 1404 e n. 1579) che regolamentarono il funzionamento del Tribunale dei minorenni e delle Case di rieducazione per minorenni e che istituirono i Centri di Osservazione dei minori.
Nel 1937 venne emanato il nuovo regolamento degli agenti di custodia (regio decreto 30 dicembre 1937, n. 2584) che, seppure modificato e adeguato negli anni successivi, è rimasto in vigore fino al 1990. Il regolamento assegnava al Corpo il compito di assicurare l’ordine e la disciplina negli stabilimenti di pena.
Con la legge 29 novembre 1941, n. 1405 venne introdotto il nuovo ordinamento delle carceri mandamentali distinguendole in due categorie:
-tipo A: semplici luoghi di custodia con pochissimi posti di capienza, istituite in piccoli centri giudiziari
-tipo B: istituite nei mandamenti, più sicure e capienti.
In entrambi i tipi di istituto non potevano essere ammessi a scontare la pena i detenuti che secondo il regolamento del 1931 dovevano essere assegnati ad uno degli speciali stabilimenti indicati nell’art. 24.
Le carceri mandamentali si differenziavano dagli altri istituti carcerari anche riguardo al personale di sorveglianza e all’onere delle spese. Nelle carceri giudiziarie centrali il direttore è un funzionario della carriera direttiva dell’amministrazione penitenziaria, mentre nelle mandamentali il direttore è il pretore.
Il secondo dopoguerra fino al regolamento del 1975
La conduzione del carcere, negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, fu la stessa di quella in vigore in epoca fascista, governata dal regolamento penitenziario del 1931.
Dopo la liberazione si constata l’assenza di qualsiasi riforma delle strutture penitenziarie ereditate dal regime fascista e ancora una volta la loro impermeabilità alle vicende della società libera. I principi fondamentali dell’isolamento e dell’emarginazione dei detenuti rimasero ben saldi anche in momento di estrema tensione per la storia delle istituzioni carcerarie, quali la seconda metà del 1945 e i primi mesi del 1946. Le tensioni scaturivano sia dal peggioramento delle condizioni carcerarie, sia dalla delusione di chi sperava in un cambiamento dopo la liberazione (gravi tensioni provocò l’amnistia Togliatti del 22 giugno 1946 che condonò numerosi crimini fascisti).
Questo breve arco di tempo è caratterizzato da alcune tra le più drammatiche rivolte della storia carceraria italiana: le carceri giudiziarie di Regina Coeli a Roma, le carceri Nuove a Torino e San Vittore a Milano furono al centro di sanguinose sommosse. La popolazione carceraria intanto era aumentata a dismisura sino a raggiungere valori doppi rispetto a quelli normali. La più grave rivolta del dopoguerra fu quella di San Vittore in coincidenza con la pasqua del 1946.
Con decreto legislativo luogotenenziale 21 agosto 1945 n. 508 furono apportate modifiche all’ordinamento del corpo degli agenti di custodia. Questi vennero assegnati alle forze armate dello Stato e al servizio di pubblica sicurezza, con la conseguenza che gli agenti sono soggetti alla giurisdizione militare e puniti secondo le norme del codice penale militare di pace e di guerra.
Nel 1948 venne istituita la prima commissione parlamentare d’inchiesta sullo stato delle carceri della storia italiana che documenta, dopo gli anni di immobilismo del dopoguerra, un rinnovato interesse per i problemi penitenziari. La Commissione presieduta dal senatore Giovanni Persico, venne insediata il 9 luglio 1948 e concluse i suoi lavori alla fine del 1950, presentando alla Camera dei deputati una lunga relazione in cui vengono affrontati i maggiori problemi dell’istituzione carceraria e prospettate concrete soluzioni per la riforma.
La relazione propose l’abolizione dell’isolamento diurno, l’introduzione della musica tra i mezzi rieducativi, il potenziamento del lavoro agricolo, l’abolizione del taglio dei capelli, la facoltà di chiedere e acquistare libri, l’abolizione del sistema di chiamare i detenuti con il numero di matricola. Queste e altre innovazioni umanizzanti, benché volte ad un miglioramento delle condizioni dei detenuti, lasciavano tuttavia intatte le strutture portanti del sistema carcerario e continuavano a isolare il carcere dalla società civile.
Nell’immobilismo generale, il ministero perseguì una politica di conservazione moderata, introducendo sperimentalmente, mediante circolari, alcune modifiche al regolamento Rocco. Alcune proposte avanzate dalla commissione parlamentare trovarono attuazione nel 1951. Tra diverse innovazioni riguardanti i colloqui, la possibilità di leggere e scrivere, l’abolizione del taglio dei capelli e dell’uniforme, venne anche disposto che tutti i detenuti fossero chiamati con nome e cognome. Queste riforme costituiscono la prima svolta innovativa del dopoguerra, ma già tre anni dopo si registrò un pesante richiamo all’ordine e una nuova svolta di carattere conservatore con una circolare del guardasigilli De Pietro (24 febbraio 1954). La circolare De Pietro segnò una tappa importante nella politica carceraria degli anni cinquanta. Si deve attendere infatti il 1964 perché venga nuovamente intrapresa la via delle circolari innovative tendenti al superamento delle disposizioni più restrittive del regolamento Rocco.
Dopo gli esiti infruttuosi del progetto preparato dalla commissione ministeriale del 1948, nel 1960 venne presentato dal guardasigilli Gonella un primo disegno di legge sull’ordinamento penitenziario che cercava di adeguare il sistema penitenziario italiano ai principi stabiliti dalle Regole minime dell’ONU (1955) e introduceva il criterio dell’individualizzazione del trattamento rieducativo basato sulla osservazione della personalità. Vennero progettate figure nuove quali gli educatori e i Centri del servizio sociale, e si introdusse il regime di “semilibertà”. Questo disegno di legge costituirà la base di tutte le successive elaborazioni.
Decaduto nel 1963 per fine legislatura, più volte ripreso, rielaborato e aggiornato, venne ripresentato da Gonella all’inizio della sesta legislatura, il 31 ottobre 1972, e posto all’esame della commissione giustizia della Camera.
Furono istituite diverse commissioni ministeriali impegnate nell’approntare lo schema di un nuovo regolamento penitenziario ma i loro lavori rimasero spesso senza esito perché il termine della legislatura o la caduta del governo non consentì di portare il progetto di riforma all’esame o approvazione del Parlamento. Numerosi progetti di legge vennero presentati, ma tutti decaddero ad ogni fine legislatura.
Inoltre a partire dalla primavera del 1969 vi fu una massiccia ripresa delle rivolte, che toccò tutti i principali stabilimenti carcerari. Le mobilitazioni sociali e politiche di questi anni ebbero riflessi anche dentro le mura del carcere e vi fu una nuova stagione di lotte caratterizzata da un alto grado di politicizzazione dei detenuti, che durerà per tutto il decennio e oltre.
Questa situazione condusse nel 1975 al varo di una legge di riforma organica degli istituti di diritto penitenziario (legge 27 luglio 1975 n. 354, “Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure preventive e limitative della libertà”).
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Fonti web – relative anche a “Carceri (1860 – 1928)”
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Fonti normative
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- regio decreto 18 giugno 1931, n. 787, “Regolamento per gli istituti di prevenzione e di pena” (= r.d. 787/1931)
- legge 9 maggio 1932, n. 527, “Disposizioni sulla riforma penitenziaria” (= l. 527/1932)
- regio decreto legge 20 luglio 1934, n. 1404 (istituzione del Tribunale dei minorenni) (= r.d.l. 1404/1934)
- regio decreto 20 settembre 1934, n. 1579, “Norme di attuazione e transitorie del regio decreto legge 20 luglio 1934, n. 1404, sulla istituzione e sul funzionamento del Tribunale per i minorenni” (= r.d. 1579/1934)
- regio decreto 30 dicembre 1937, n. 2584, “Regolamento per il corpo degli agenti di custodia degli istituti di prevenzione e di pena” (= r.d. 2584/1937)
- legge 29 novembre 1941, n. 1405, “Ordinamento delle carceri mandamentali” (= l. 1405/1941)
- decreto legislativo luogotenenziale 21 agosto 1945, n. 508 (attribuisce agli agenti di custodia la qualifica di polizia giudiziaria e la soggezione alla giurisdizione militare) (= d.lg.lgt. 508/1945)
- “Regole minime per il trattamento dei detenuti” approvato dal 1° Congresso internazionale dell’ONU per la prevenzione del delitto e il trattamento dei delinquenti il 30 agosto 1955
- legge 26 luglio 1975, n. 354, “Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà” (= l. 354/1975)
- decreto del presidente della repubblica 29 aprile 1976, n. 431, “Approvazione del regolamento di esecuzione della legge 26 luglio 1975, n. 354…” (= d.p.r. 431/1976)
- legge 12 gennaio 1977, n. 1, “Modificazioni alla legge 26 luglio 1975, n. 354 sull’ordinamento penitenziario e all’art. 385 del codice penale” (= l. 1/1977)
- decreto del presidente della repubblica 24 maggio 1977, n. 339, “Modifiche al regolamento di esecuzione della legge 26 luglio 1975 n. 354 approvato con dpr 29 aprile 1976 n. 431” (= d.p.r. 339/1977)
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(Redazione a cura di Antonella Cassetti 2007)
Soggetti produttori
- Carcere criminale 1859 - 1879
- Carcere del Castello 1863 - 1879
- Carcere di San Vittore Nuovo 1866 - 1879
- Carcere di San Vittore Vecchio 1865 - 1879
- Carcere di Sant'Antonio 1862 - 1879
- Carcere giudiziario di San Vittore 1879 -
Link risorsa: http://lombardiarchivi.servizirl.it/institutions/4