Archivio Notarile Distrettuale di Bergamo (1392 - [sec. XX])
498 unità archivistiche di primo livello collegateComplesso Di Fondi
Consistenza archivistica: unità 496
Il complesso di fondi "Archivio notarile distrettuale di Bergamo" conserva 3 fondi ("Collegio dei notai","Officio delle notificazione" e "Archivio generale notarile") e una sezione di "Carte estranee".
Storia archivistica:
Per tutto il periodo anteriore alla fondamentale riforma del 1612-1613 con cui Venezia si riservò il potere di ammettere al notariato, la creazione dei notai avvenne normalmente nel domicilio del conte palatino che conferiva il privilegio, mentre l’approbatio si svolse in locali diversi, generalmente interni o adiacenti al palazzo comunale o alla residenza dei rettori veneti. […]
A partire dal 1613, la nuova procedura con cui creazione ed approvazione, ormai coincidenti, venivano attribuite ai rettori veneti, fece sì che la cerimonia si svolgesse sempre nel palazzo pretorio in piazza Vecchia, sede del podestà, o nella residenza del capitano in Cittadella.
Per quanto riguarda invece il Collegio dei notai, lo stato delle fonti non consente di verificare, almeno sino al 1495, se disponesse di una sede propria. […] il 14 agosto 1495 si deliberò di chiedere al Comune “locus pro Collegio et pro reponendis scripturis” ma solo nel 1610 si giunse alla realizzazione di una nuova aula per le adunanze, arredata con scranni collocati perimetralmente ed un banco centrale per i consoli. […]
L’incipit del verbale dell’adunanza plenaria degli iscritti svolta il 14 dicembre 1616, ci informa che quest’aula era posta “apud palatium magnum” del Comune, da identificarsi con quello della Ragione, non essendo ancora completato quello nuovo iniziato nel 1604. […]
Fin dal 1580 però, al problema tutto sommato modesto, di dotare il Collegio di una sede, si era aggiunto quello, di ben più difficile soluzione, di reperire “uno loco comodo e idoneo” per la reposizione delle scritture dei notai defunti.
I due delegati della città, Sempronio Suardo e Domenico Verzerio, riferirono in Consiglio di aver svolto diversi sopralluoghi e di aver infine individuato come adatto allo scopo il solaio “qual è in cima della scala del palazzo nel qual si tiene solamente alcuni puochi legnammi et utensili per il massarolo della magnifica Comunità”. Lo stato del locale doveva però essere alquanto precario e dopo una parte presa alla fine del 1581 “pro archivo aptando”, il Collegio dovette chiedere al podestà e agli anziani un sostegno finanziario sia per i notevoli lavori di rifacimento alle strutture, sia per dotarlo di armadi a sufficienza. […]
Ad una proposta di trasferimento in altro locale sottostante quello in cui si riponevano le attrezzature del Collegio alla milizia avanzata nel 1584, seguì la decisione, presa il 29 luglio 1589, di costruire dei locali sopra il corpo di guardia in piazza Vecchia, uno dei quali destinato alle scritture dei notai defunti, ma ad oltre un anno di distanza il Collegio era costretto a sollecitarne la realizzazione, sospesa in attesa che opportune perizie tecniche verificassero la stabilità del palazzo. Di fatto l’archivio rimase dov’era e si giunse così al 1612 quando l’istituzione dell’archivio “generale”, “pubblico” o “civile” aggravò il problema rendendo necessari spazi adeguati ad una massa documentaria ben maggiore ed in continua espansione.
Nel 1617 il conferimento delle carte, che venivano via via collocate nel solaio sovrastante l’aula del Collegio, appare avviato, seppur tra molte difficoltà e nel 1638 gli amministratori del Collegio potevano dichiarare con soddisfazione che “va pigliando buona forma et che di già vi sono stati portati molti prothocolli et istromenti di notai morti et molto maggior quantità ve ne saranno portati nell’avvenire”. Tuttavia il “luogo di esso archivo non è decente nè commodo, havendo più tosto apparenza di granaro che di archivo, nè meno è capace per il bisogno” e se era stato sufficiente, come soluzione d’emergenza, per dar avvio all’importantissima operazione di raccolta, ora diveniva sempre più inadeguato. Si deliberava perciò di proporre alla Città la concessione del “sito che si trova tra il Palazzo della Ragione et questo Collegio dove si potrebbe far un involto et fabricarvi il detto archivo in forma lodevole et con spesa mediocre”.
La proposta, benché approvata dal Comune, non ebbe seguito: con ogni probabilità per problemi finanziari in quanto l’approvazione era stata subordinata al fatto che la Città non avesse a riceverne “incommodo di spesa alcuna”. Fu ripresa con attenzione solo sullo scorcio del 1639 in seguito alla constatazione che ai gravi difetti della sede già evidenziati, si doveva aggiungere il rischio drammaticamente corso dalle carte con l’incendio del tetto causato dal camino della guardia.
Ancora una volta però, alle buone intenzioni non seguirono fatti. Le carte rimasero in loco affrontando altri tre incendi: quello della sommità della torre civica nel 1681 (che costrinse ad un frettoloso sgombero dell’archivio seguito da una faticosa ricollocazione), un secondo in data imprecisata durante il mandato dell’archivista Giovanni Battista Carrara (e dunque tra il 1688 ed il 1691) ed infine, il più pericoloso, una notte di novembre del 1695 quando prese fuoco la canna fumaria del camino del corpo di guardia passante nel muro dell’archivio “non essendovi che un puro quadrello di mezzo tra la canna et gli armarii del archivio medesimo”. Notte terribile, per il coraggioso archivista Defendente Mazzoleni: “il splendor della fiamma illuminava tutta la piazza. Avisato del pericolo corsi, si salirono li tetti, si estinse il fuoco”, ma stavolta ce n’era abbastanza per imporre un trasloco. Tanto più che le preziose scritture subivano anche il danno dei topi e della pioggia che spesso penetrava dai coppi rotti o spostati.
Di fronte alle sollecitazioni del Collegio, i due delegati investiti della questione dal Consiglio minore, Giuseppe Banniatus (o Bagnati) e Gerolamo Lupi, constatata l’indisponibilità di spazi adatti nel palazzo comunale, proposero di risolvere definitivamente il problema affrettando la conclusione dei lavori al “prospetto” del Palazzo Nuovo “che tiene anco intieramente li fondamenti con qualche parte de marmi”. […] Nel dicembre del 1704 i lavori alle stanze destinate all’Archivio civile erano terminati e tra l’8 ed il 26 gennaio 1705 si effettuava il trasloco, a spese del Collegio, sotto la guida dell’archivista Gerolamo Gritti e dei deputati Defendente Mazzoleni e Vincenzo Terzi. L’aula delle adunanze del Collegio restava invece nell’antica sede […].
La soluzione così trovata assicurò cent’anni di tranquillità all’archivio ed ai suoi responsabili ma all’alba del XIX secolo, soppresso il Collegio dei notai, trasformato l’Archivio civile in Archivio generale notarile (1807) sotto la direzione del conservatore Giovanni Locatelli (vice conservatore Antonio Longaretti, cancelliere Pietro Longhi), istituita nello stesso anno la Camera di disciplina notarile con sede provvisoria presso il Luogo pio della Pietà al n. 68 di contrada Corserola (l’attuale via Colleoni), il Comune dapprima avanzò la richiesta di pagamento di un canone di locazione per i tre ambienti in uso all’Archivio notarile nella propria sede (rivendicando inoltre la proprietà di arredi e scaffalature), poi ne pretese il rilascio adducendo la necessità di destinare detti spazi alle proprie accresciute attività.
Tra il 1811 (quando fu lasciato libero uno solo dei locali di palazzo Nuovo) ed il 1832, l’Archivio generale notarile fu trasferito in Cittadella, nell’edificio già residenza del capitano veneto ed ora destinato alla Prefettura (poi I. R. Delegazione provinciale).
Nonostante i locali apparissero fin dall’inizio manifestamente inadatti per la fortissima umidità e per i pericoli di crollo, sarebbero stati utilizzati, con gravi danni per lo stato di conservazione delle carte, fino al 1874. Per ragioni di bilancio, le numerose accorate segnalazioni dei conservatori succedutisi nel corso degli anni non ottennero altra risposta se non l’autorizzazione ad eseguire parziali ed inefficaci lavori di risanamento delle strutture e l’occasionale installazione di tratti di scaffalature in legno grezzo “di abete di scarto”. Né ebbero seguito le proposte di destinare all’Archivio la sala delle Capriate di palazzo della Ragione (avanzata fin dal 1812 e ripresa nel 1821), l’ex convento di S. Francesco (1842), i locali nella stessa sede di Cittadella ma ampi e salubri già adibiti ad abitazione del commissario superiore di Polizia (1849), l’ex convento del Carmine (1865).
Nel 1850 la Direzione superiore delle pubbliche costruzioni con sede in Verona, giunse al punto di suggerire “in vista della raccomandata economia di ampliazione”, lo “spurgo” ossia lo scarto, “di qualche parte” delle scritture accumulatesi nel corso dei secoli. Finalmente, nell’autunno del 1874, l’antico Archivio civile, scampato al fuoco in epoca veneta, all’acqua e alle superiori direttive nell’Ottocento, trovò adeguata collocazione nel palazzo della Misericordia di via Arena (ora sede dell’Istituto musicale Donizetti) dove rimase per quasi un secolo fino a quando, con l’istituzione dell’Archivio di Stato (1959), iniziò a condividere le sorti e quindi anche il trasloco del 1968 nell’attuale sede di via Tasso [ndr dal 2009 nella nuova sede di via Fratelli Bronzetti 26-30].
Gli archivi
Già gli statuti duecenteschi, nel definire le funzioni degli organi di amministrazione del Collegio, disponevano la tenuta di determinate scritture, giudicate evidentemente di primario interesse rispetto alle molte altre cui dava luogo l’attività quotidiana dell’ente.
L’elenco comprende: le matricole (r.ca LXXXV), il quaderno su cui il canevario annotava nomi di tutti gli iscritti ammessi all’elettorato attivo per il rinnovo delle cariche istituzionali (additio alla r.ca XLI), registri di condanne, “banna et talie et omnes alie res et omnia bona ipsius Collegii” (r.ca CXCVI), quelli delle deliberazioni (r.ca CXCVII), il quaderno su cui si registrava la cauzione versata dal canevario (r.ca LXIV), i registri contabili delle entrate e delle spese (r.ca LXV), gli atti pubblici da cui risultava la condanna di un notaio per falso, il quaderno sui cui essi venivano trascritti e quello con l’elenco di tutti i notai condannati per falso (r.che CXXXI-CXXXIII) e infine il quaderno su cui i consoli del Collegio annotavano i nominativi dei notai che ricoprivano un impiego comunale (r.ca LVIII).
Tutte queste scritture erano affidate alla custodia del canevario o dei consoli.
Successivamente, le disposizioni emanate per il funzionamento del Collegio nei secoli XVI-XVIII, fecero sì che venissero poste in essere ulteriori tipologie documentarie.
Le procedure per l’aggregazione prevedevano ad esempio la presentazione da parte del candidato di un’istanza, la raccolta di documenti e testimonianze atti a provare il possesso dei requisiti richiesti e la loro trascrizione in un libro apposito da parte del cancelliere. Quest’ultimo doveva poi annotare in una rubrica alfabetica i nomi di tutti gli aspiranti e l’esito della pratica aggiungendo, per i respinti, i motivi del verdetto sfavorevole. Inoltre, per un’efficiente amministrazione del Collegio, si prescriveva al cancelliere di verbalizzare il giuramento prestato da consoli e canepari all’inizio del loro mandato, di tenere una rubrica dei notai debitori nei confronti del Collegio e dei sospesi, di rogare qualunque istrumento si rendesse necessario nell’interesse del Collegio registrandolo “in libro ad hoc spetialiter deputando” e di annotare i nominativi degli intervenuti e degli assenti alla processione del Corpus Domini. […]
Infine, copiosa documentazione doveva certamente accompagnare pagamenti a fornitori, (come il libro bulettarum, le polizze e le filze di mandati esistenti nel XVIII secolo), accensione ed estinzione di censi, controversie con la Magnifica Comunità o con soggetti privati, imposizione di contributi ai soci ecc. di cui si ha notizia attraverso i Libri delle azioni, senza dimenticare la raccolta delle direttive provenienti dalle autorità venete e dei privilegi di cui godeva il Collegio. Con i capitoli del 1636, allo scopo di mantenere viva la memoria di norme e deliberazioni “ad ipsius Collegii regimen spectantes” e far sì che chiunque potesse facilmente consultarli, il cancelliere fu incaricato anche di “seriatim describere et registrare [tali ordini e parti] in libro ad hoc spetialiter deputando” […].
Allo stesso anno risale il primo inventario dell’archivio del Collegio di cui si abbia notizia, compilato dal priore Alberto Farina per la consegna al cancelliere Marco Antonio Benaglio.
Alla data del 28 dicembre 1636, l’archivio comprendeva: un volumetto in pergamena con bolla plumbea contenente gli statuti del 1579, tre libri delle azioni dal 1491 all’anno in corso, sei matricole (di cui cinque in pergamena ed una cartacea) di tutti i notai di Bergamo e suo territorio dal 1392 all’anno in corso, una filza piccola di fedi di creazione di notai dal 1601 al 1612, una rubrica in cuoio rosso con i nomi dei giuristi estratti per l’approbatio dei notai (non ne viene indicata l’epoca), due registri in pergamena contenenti le emancipazioni dal 1449 al 1605, una filza di suppliche di coloro che chiedono di essere ammessi al Collegio dal 1573 all’anno in corso, un registro iniziato nel 1609 e anch’esso rilegato in cuoio rosso, recante le informazioni assunte sul conto degli aggregandi e infine, una filza di scritture, relazioni e conti molto probabilmente di origine non antica se, trattandosi di un singolo pezzo, “continua sino al presente”.
L’inventario fu integrato con alcuni altri pezzi consegnati al Benaglio il 26 marzo 1638 perché rinvenuti nell’abitazione del defunto cancelliere Giovanni Maria Zuccaninus de Loccatellis. Si trattava di un libro contabile ricoperto in pergamena e di cinque processi con legatura in cartone, segnati +, A, B, C, D di cui non viene indicata l’epoca ma risalenti con ogni probabilità al periodo in cui il Locatelli aveva esercitato il proprio mandato (1629-1635)”.
L’elenco ci appare per alcuni versi sorprendente. In primo luogo per l’assenza (con l’unica eccezione delle matricole) di tutta la documentazione prodotta prima del 1491, anno della “rifondazione” del Collegio. Non vi si fa cenno neppure degli statuti del secolo XIII, confermando l’osservazione dello Scarazzini che dopo il 1621 quel codice si trovasse fuori sede dove sarebbe tornato solo nel 1690.
Stupisce inoltre l’esiguità dell’archivio, nel quale mancano molte delle serie poc’anzi descritte e che avrebbero dovuto costituirsi sulla base delle disposizioni statutarie dei secoli XV-XVI. Le ipotesi interpretative che si affacciano sono molteplici e probabilmente non escludentisi reciprocamente: scarto sistematico della documentazione giudicata non essenziale, incompleta applicazione delle norme sull’attività del cancelliere, predisposizione dell’inventario con l’inserimento non già di tutta la documentazione effettivamente giacente ma di quella sola “fondante” l’attività del Collegio (statuti, parti prese) o attestante stati personali (matricole, emancipazioni) che il cancelliere doveva controllare e, all’occorrenza, certificare. Ad essa si aggiungevano le poche carte considerate correnti (quali l’elenco dei nomi dei giuristi, le filze di suppliche e scritture, il registro delle informazioni raccolte sul conto degli aggregandi, i libri contabili) delle quali evidentemente il nuovo cancelliere doveva disporre per proseguire l’azione amministrativa del predecessore.
La tardiva consegna di registri rinvenuti dagli eredi del cancelliere Locatelli, lascia infine supporre che la consuetudine da parte degli amministratori di trasferire nella propria abitazione le pratiche in corso di esame, possa aver causato molte dispersioni. Il divieto di portare fuori sede “li libri e le carte attinenti il Collegio” inserito nei capitoli per il cancelliere con parte presa il 16 febbraio 1766, sembra alludere a questa prassi piuttosto che ad altre, più improbabili, occasioni. […]
Di un repertorio compilato dal cancelliere Zaccaria Finardi si ha notizia perché nel 1697 il fratello ed erede Finardo Finardi lo sottopose all’attenzione del Collegio chiedendo un’elargizione in denaro quale riconoscimento per la fatica della sua redazione. L’opera, purtroppo perduta, deve quindi essere collocata tra il 1667, anno della nomina del Finardi, ed il 1695, dal momento che egli mori nel 1696 ma trascorse l’ultimo anno di vita gravemente infermo. Il suo successore, Giovanni Battista Carrara, non solo pose mano ad un altro repertorio “che in passato non si usava, in cui sono descritte con tutta la possibil diligenza, longa application e fatica, le attion del Collegio et altre degne notitie”, ma compilò anche “due filze, una attinente le ragioni del Collegio l’altra quelle dell’Archivio, et altre filze di materie speciali aspettanti al Collegio stesso”. Il 31 dicembre 1725 fu deciso perciò di gratificarlo con la somma una tantum di 15 ducati a condizione che il repertorio restasse al Collegio ed egli si impegnasse a mantenerlo aggiornato. Purtroppo neppure il lavoro del Carrara è giunto fino a noi né si ha notizia di interventi da parte dei cancellieri succedutisi dal 1729 alla soppressione del Collegio: Giuseppe Antonio de Brippio (che anzi, durante il suo mandato, durato dal 1729 al 1733, non svolse neppure il compito fondamentale di trascrivere le parti prese sul libro a ciò destinato), Giovanni Casizzi (1733-1766), Alfonso Terzi (dal 1763 sostituto, titolare dal 1766 al 1799) e Giovanni Battista Longaretti (dal luglio 1799).
Accanto alle scritture prodotte dal Collegio nel corso dell’attività propria e tutta interna di organizzazione di categoria, erano però andate sedimentandosi da almeno cinque secoli altre serie archivistiche derivanti dall’azione svolta da organi del Collegio su mandato del Comune nell’ambito di procedimenti da esso definiti. Si pensi all’approbatio di nuovi notai di cui s’è detto diffusamente o anche alle procedure dell’emancipazione che si concludevano con la registrazione a cura dei consoli del Collegio come prescritto negli statuti comunali fin dal 1353 […].
Così pure, fin dal secolo XIII, le rubriche degli statuti comunali dettate dall’esigenza di salvaguardare le scritture dei notai defunti, mentre disponevano la loro consegna ad altro notaio escludendo che potessero restare presso eredi privi di tale qualifica, attribuirono ai consoli del Collegio compiti di tutela e controllo che comportavano, tra l’altro, la tenuta di quattro registri (uno per porta) sui quali dovevano essere annotati nomi dei notai deceduti, la consistenza della loro produzione (in quaterni, carte sciolte e lische) e il nome del collega cui erano affidati la conservazione e il diritto-dovere di trarne istrumenti. Tali disposizioni si mantennero sostanzialmente immutate lungo l’arco di tre secoli fino alla profonda innovazione introdotta nel 1579 col prescrivere che la denuncia di possesso di atti di notai defunti non dovesse più essere presentata ai consoli del Collegio bensì all’Officio del registro degli istrumenti i cui notai avrebbero tenuto uno speciale registro con i nominativi dei detentori di tali carte onde consentirne il facile reperimento da parte di chiunque fosse interessato a prenderne visione o ad ottenerne copie. Nella stessa circostanza, si disponeva l’individuazione di locali (che potevano anche non coincidere con quelli dell’Officio ma dovevano comunque trovarsi nelle vicinanze del palazzo comunale) dove far confluire e custodire le scritture dei notai deceduti senza congiunti che esercitassero il notariato o senza aver designato il collega cui si desiderava fossero affidate le carte dopo la propria morte.
Di fatto, l’onere dell’attivazione di tale archivio di concentrazione ricadde invece interamente sul Collegio al cui interno dovevano essere scelti annualmente due o più addetti mentre il cancelliere era tenuto a presenziare ad ogni consegna facendone nota sul libro delle azioni o altro apposito. Tuttavia, mentre si ha notizia di interventi, almeno a livello propositivo, per realizzare una sede idonea, non si è in grado di affermare che vi sia stato realmente un immediato afflusso di carte. Di certo il provvedimento muoveva da esigenze assai sentite, tanto da anticipare di un trentennio la grande riforma deliberata nel 1612 dal Senato veneto che istituiva l’Archivio generale delle scritture dei notai defunti in tutte le città principali dello Stato “non escludendo qualche castello o terra… dove per maggior commodo et satisfattione de’ particolari” i rettori giudicassero opportuno “servare qualche parte”. […]
Benché il testo, prescrivendo ai rettori che “tutti li prothocolli de’ nodari morti nella giuridittione a Voi soggietta, testamenti et altre importanti scritture, siano riposte in luogo separato”, non facesse alcuna distinzione tra carte lasciate dai notai defunti ad un congiunto esercente il notariato o ad un collega appositamente designato e carte in possesso di persone non abilitate, ed avesse perciò una valenza radicalmente innovativa, i rettori di Bergamo ne diedero un’interpretazione assai cauta e conservatrice emanando nel marzo successivo un proclama che ricalcava le norme del 1579: obbligo di consegna solo per i possessori non autorizzati e, per i notai depositari di carte di colleghi deceduti, obbligo di autodenuncia al cancelliere del Collegio corredata dall’inventario delle scritture di cui fossero custodi.
[…]
Iniziavano così per l’antica corporazione dei notai, due secoli di tribolazioni sia per garantire all’Archivio, come si è visto, una sede decorosa, sia per far rispettare l’ordinanza agli eredi che non furono mai solerti nelle consegne delle scritture (con ogni probabilità perché insoddisfatti della quota loro assegnata sui proventi da esse ricavabili), sia, infine, per sostenere l’archivista nella realizzazione dell’inventario generale prescritto dai capitoli del 1636, resa ardua dalla mole dell’archivio, dal suo incessante accrescersi, dal disordine delle carte che via via vi confluivano.
Non bastando tanti sforzi ad evitare che il corso del tempo riportasse “a poco a poco nel primiero perniciosissimo disordine l’affare di tanto rimarco”, rendendo così necessario un “pronto e valido riparo” e “l’aggionta d’alcuni particolari al prefisso e specialmente di maggior comminative di pene”, nel gennaio del 1715 il podestà Carlo Antonio Gambara e il capitano Carlo Zenobio, su sollecitazione del Collegio dei notai, ordinarono la ristampa delle disposizioni adottate nel 1612-1613 dal Senato e dai rettori, integrandole con otto nuovi capitoli.
Il principio della obbligatorietà della consegna degli atti dei notai defunti all’Archivio cittadino o a quelli istituiti nel territorio, fu rafforzato limitando l’esenzione ai soli discendenti “per linea masculina”, naturalmente purché fossero essi stessi notai. Questi ultimi erano però tenuti a conservare le carte nello stesso territorio (città, quadra o valle) in cui il defunto aveva esercitato la professione e a darne nota all’archivista. Veniva ufficializzata la prassi di restituire le scritture nel caso “che alcuno de gli heredi del defonto ex parte patris venisse creato nodaro” privilegiando, in presenza di più notai tra gli eredi, il parente più prossimo e “conservando nell’archivio et in libro a ciò destinato, il registro de’ nomi, cognomi et luochi delle persone a quali si saranno reconsegnate le scritture”.
L’inasprimento delle pene comminate ai contravventori all’ordine della consegna o della notifica degli atti (che passavano dalla sanzione pecuniaria di 100 ducati all’apertura di un procedimento penale), veniva però temperato dal condono una tantum a favore di coloro che, pur non essendo consanguinei in linea paterna, possedessero protocolli o scritture in forza di donazioni, lasciti testamentari, cessioni o a qualunque altro titolo (di cui si confermava tuttavia la nullità) o avessero omesso di dichiararne l’esistenza (cap. 3). Fu però a partire dal 1807, con l’entrata in vigore del Regolamento sul notariato, che la fragile struttura del vecchio Archivio civile, divenuto Archivio generale notarile, dovette misurarsi con le operazioni di recupero degli archivi notarili formatisi in numerosi comuni del territorio (come consentito dalle norme secentesche) o ancora una volta segnalati in possesso di privati.
Il trasporto nella sede di Bergamo ebbe inizio solo nel 1810, preceduto da un fitto carteggio con intenti ricognitivi e da disposizioni cautelative come l’apposizione di sigilli ai locali in cui si trovavano le carte in attesa di trasferimento di cui venivano incaricati i sindaci dei Comuni interessati. Nel 1812 la Camera di disciplina notarile poteva tracciare un quadro della situazione e indicare degli obiettivi così sintetizzabili: – nei locali dell’Archivio generale notarile in Cittadella erano ammassate le scritture pervenute “in grandioso volume” dai 34 archivi esistenti in passato nel territorio del Dipartimento, bisognose di una almeno sommaria sistemazione.
- Occorreva trasportare nella stessa sede anche le carte che si trovavano ancora nel palazzo comunale, consegnate da privati ai sensi dell’art. 130 del Regolamento (che, portando alle estreme conseguenze gli orientamenti divenuti via via più restrittivi delle norme venete, vincolava alla consegna anche consanguinei più stretti ed in possesso della qualifica di notaio) o pervenute a seguito di cessazioni di notai verificatesi dopo l’attivazione di detto Regolamento.
Negli anni successivi le operazioni di raccolta continuarono, intralciate dall’inadeguatezza dei locali e delle scaffalature in Cittadella e costellate da solleciti ai sindaci, indagini presso i “particolari”, concessioni di proroghe e ritrovamenti casuali come quello di dodici istrumenti pergamenacei datati tra il 1366 ed il 1537 notati dal cancelliere Pietro Longhi in una bottega di prestinaio e prontamente recuperati.
Nel frattempo l’Archivio generale notarile, che aveva acquisito anche “carte ed effetti” del cessato Collegio dei notai, aveva dovuto affrontare il problema di come impostare il proprio archivio corrente e quello della Camera di disciplina notarile. L’esempio del corrispondente istituto di Brescia, il cui conservatore comunicava di aver introdotto di propria iniziativa “un piccolo protocollo per tener separati gli affari della Camera da quelli dell’Archivio”, fu seguito solo in parte, apponendo sul carteggio (sia in arrivo che in partenza) un numero progressivo di protocollo talvolta preceduto da una A o da una C maiuscole (a significare Archivio oppure Camera) ma senza indicarvi anche la classificazione di cui restano unica testimonianza le camicie prestampate utilizzate per la fascicolazione degli atti. Tale tecnica di archiviazione, applicata peraltro in maniera discontinua, non andò oltre il 1822 circa, quando si optò per una gestione comune delle pratiche dell’Archivio e di quelle della Camera, definitivamente sancita, con effetti retroattivi, da un intervento di rifascicolazione databile alla seconda metà dell’Ottocento (1856 circa) cui si debbono le categorie mantenute nell’inventario che segue.
Il riuso fatto in quell’occasione, delle camicie risalenti al periodo napoleonico, ci ha consentito di ricomporre almeno qualche voce del titolario adottato verso la fine del primo decennio del secolo.
Per l’Archivio:
- Consegna di atti per cessazione di notai per morte, rinoncia o inabilitazione
- Estrazione di copie ed inspezioni di atti d’archivio
- Aperizione di testamenti mistici esistenti in Archivio
- Tasse e multe sulle illegalità delli istrumenti e per le tasse de’ medesimi a termini delli articoli del Regolamento e tariffa notarile 17 giugno 1806
- Notifiche di sentenze d’interdetto ed assegno di consulente a termini dell’art. 93 del Regolamento
- Sospensione dal notariato a termini delli art. 25 e 26 del Regolamento sul notariato e 20 delle relative istruzioni 25 settembre 1806. Concentrazione degli archivi
- Delegazione d’altri nodari all’estrazione di copie in caso di malattia, absenza ed altro impedimento a termini dell’art. 65 del Regolamento 17 giugno 1806
- Salariati ed altre spese d’uffizio
- Presentazioni mensili dei repertori ossiano rubriche
- Consegna dei repertori a termini dell’art. 83 del Regolamento notarile 17 giugno 1806
- Consegna degl’atti e matricole dei notai defonti a termini dell’art. 130
- Archivio sussidiario di Breno
- Materie diverse.
Per la Camera di disciplina:
- Presentazione dei titoli per l’abilitazione al notariato
- Separazione dei beni come al Codice di procedura civile all’art. 866 titolo VIII
- Cessazione e rinoncia de’ notai
- Revisione degli atti notarili prima dell’attivazione del Regolamento
- Materie diverse
- Salariati ed altre spese d’uffizio.
Nota dell'archivista:
Notizie d’intervento
Quando si decise di procedere al riordino, gli archivi del Collegio dei notai e dell’Archivio generale notarile (riferendosi qui alle carte di amministrazione dello stesso e non alle scritture dei notai cessati) erano privi di inventario e corredati soltanto dal seguente elenco redatto nel 1965 all’atto del versamento all’Archivio di Stato (i numeri indicano la consistenza):
Pergamene 29;
Indice generale delle parti 181;
Indice alfabetico generale cronologico;
Indice alfabetico generale cronologico dei notai 14;
Indice generale dei notai per gli atti originali;
Matricolae notariorum (Vallis Camonicae ed altri) 4;
Collegii notariorum Bergomi 1;
Registro dei notai insinuanti le polizze di notifiche 1;
Informazioni per l’aggregazione 1;
Libri actionum almi collegii dominorum notariorum 2;
Atti civili e criminali 1;
Registro istrumenti deficienti di legalità 4;
Regno Napoleonico leggi 1;
Imperial Regio Governo di Milano 8;
Governo provvisorio decreti 1;
Governo austriaco ecc. 1;
Imperial Regio Governo 2;
Processi verbali delle sessioni 2;
Processi verbali delle sedute 8;
Liber emancipatorum 1;
Libro privato dott. Alcheri 1;
Ordini e proclami relativi all’Archivio notarile 1;
Penna d’oca 1;
Elenco delle polizze degli istrumenti 95.
Ci si rese ben presto conto che, ad eccezione degli Indici delle parti e delle polizze, nessun’altra serie era stata correttamente individuata sia nella tipologia documentaria sia nella consistenza e che molto materiale (come ad esempio le buste contenenti i fascicoli dei Notai defunti o cessati) era addirittura assente dall’elenco. Viceversa esso comprendeva ventinove pergamene (in realtà 129 ma drasticamente ridotte da un vistoso errore di dattilografia), riconducibili all’archivio delle scritture dei notai cessati e pertanto estranee all’obiettivo del riordinamento che si voleva avviare.
Constatati dunque la mancanza di inventari più precisi ed il silenzio delle fonti circa eventuali precedenti lavori di riordino, non restava che affidarsi alle tracce fornite da note dorsali, etichette, timbri presenti su legature, contenitori e fascicoli originali. Si sono così potute individuare, ora agevolmente ora con maggior difficoltà, la maggior parte delle serie che vengono presentate nell’inventario con la denominazione in tal modo rilevata. In mancanza di questa, si è cercato di attribuire un titolo quanto più possibile aderente non solo, come era ovvio, ai contenuti delle carte, ma anche al linguaggio amministrativo dell’epoca cui esse risalivano (ad esempio Statuti e ordini, Memorie e fedi, Circolari).
Il momento più delicato di questa fase, che ha richiesto un’accurata ricostruzione delle vicende istituzionali del Collegio, ha coinciso con la corretta individuazione dell’ente produttore di alcune serie documentarie o di singoli pezzi e ciò a causa dei complessi intrecci di competenze e deleghe intercorsi tra la corporazione dei notai ed il Comune di Bergamo che si è cercato di illustrare nell’introduzione.
Non meno articolato e di difficile interpretazione appariva il quadro della numerazione preesistente, talvolta propria e interna ad una singola serie, talaltra abbracciante serie diverse e disomogenea anche per quanto attiene allo stile ed ai mezzi tecnici utilizzati (cifre arabe e romane, inchiostro, matita nera, timbri, matita blu) a testimonianza di interventi succedutisi nel tempo ma sempre molto parziali. Ci si è così imbattuti in pezzi totalmente privi di segnatura, altri con numerazione originale (ad es. i Libri delle azioni), altri con doppia numerazione, di cui una originale o comunque antica e la seconda moderna (ad es. le filze delle Polizze), altri ancora originariamente privi di numero di corda, attribuito solo in epoca relativamente recente.
Di queste numerazioni preesistenti si è sempre data notizia in inventario, non solo perché esse permettono di riconoscere lo stato di ordinamento preesistente, ma anche perché atte ad evidenziare le lacune nella documentazione pervenutaci. Così è, ad esempio, per i Libri delle azioni, di cui mancano i numeri 1 e 2; per i registri delle Informazioni, il cui esemplare che reca la dicitura liber quartus, relativo agli anni 1671-1704 e preceduto da quello degli anni 1609-1671, lascia intuire l’avvenuta perdita dei primi due pezzi. Altrettanto dicasi dei Registri di presentazione e revisione annuale dei repertori notarili, il cui salto di numerazione tra il VII (relativo al 1827) ed il XV (relativo al 1834) evidenzia la mancanza di 14 pezzi.
Per quanto riguarda l’archivio del Collegio dei notai, ulteriori riscontri sono stati possibili confrontando il materiale esistente con l’inventario redatto nel 1636 e riportato nel manoscritto di Marco Antonio Benaglio. Ancora una volta si deve purtroppo constatare l’ampiezza delle perdite subite poiché di tutto ciò che vi è elencato […] non ci restano che il terzo libro delle azioni, le matricole (di cui una arbitrariamente frazionata in due registri) ed il registro delle informazioni iniziato nel 1609.
Relativamente all’Archivio generale notarile, l’intervento riordinatore di cui si conservano le maggiori tracce è databile agli inizi del nostro secolo e probabilmente attribuibile al vice-conservatore Giuseppe Poletti, il cui vivo interesse per le vicende del notariato è dimostrato anche dai contributi da lui pubblicati tra il 1912 ed il 1916. Di certo egli effettuò una verifica di tutti i volumi degli Indici delle parti facendo applicare ai dorsi nuove etichette prestampate con avvertenze sui criteri di compilazione e le modalità d’uso dei volumi stessi, spesso ripetute anche sul piatto anteriore. Con annotazioni autografe sulla facciata interna, certificò infine il riscontro compiuto in data 2 febbraio 1913 sull’esattezza delle note cronologiche dorsali apposte con timbri ad inchiostro. Proprio la tipologia di questi timbri, utilizzati anche per la numerazione di corda in cifre arabe che si ritrova sui pezzi costituenti le serie: Locali e mobili (n. 50/1-50/4), Notai defunti o cessati (n. 1-67), Notai defunti ed esercenti: loro vicende (n. 66/1-66/13), Concorsi traslocazioni ecc. (n.67/ 1-67/2), Separazioni di beni di individui diversi (n. 68/1-68/2), Contratti nuziali (n. 68/3), Personale cessato (n. 69/1-69/7), Personale attuale (n. 69/8), Provvidenze – personale (n. 69/9-69/14), Interdizioni individui diversi (n. 70/1-70/5), fa ritenere che l’intervento ordinatore sia stato svolto per sua iniziativa e nello stesso periodo, innestandosi su quello ottocentesco di cui manteneva l’impianto generale e la suddivisione per titoli. Altrettanto può dirsi per la rinumerazione con la medesima tecnica di timbratura della serie delle Polizze, sui cui dorsi furono applicate etichette recanti la dicitura: “Note (Polizze o Denunzie) degli atti rogati dai Notai giusta parte o delibera presa dal Senato di Venezia il 18 agosto 1639”, che ci suggeriscono nuovamente il rimando alla personalità del Poletti anche per l’analogia con gli intenti “didattici” delle etichette applicate agli Indici delle parti. Purtroppo la mancanza di documentazione sull’attività dell’ufficio in quegli anni (andata probabilmente distrutta nel 1964 in occasione del trasloco dell’Archivio notarile nell’attuale sede di via don Minzoni) non permette di verificare tali ipotesi né di comprendere appieno le modalità di quel lavoro e di reperire eventuali mezzi di corredo realizzati per l’occasione.
In considerazione di quanto sopra esposto e pur tenendo conto di tutte le indicazioni fornite dalle carte in vista dell’applicazione del metodo storico, ci si è risolti a fissare la disposizione delle serie secondo le direttive della circolare del Ministero dell’Interno, Direzione degli Archivi di Stato, n. 39/1966 recante “Norme per la pubblicazione degli inventari”. Eventuali scelte problematiche sono state giustificate nelle brevi note esplicative poste in apertura di ciascuna serie ad integrazione di quanto esposto nelle presenti pagine ed allo scopo di meglio orientare la ricerca e le aspettative degli studiosi. Per motivi di praticità si è adottata un’unica numerazione di catena comune a buste, registri e volumi mentre i fascicoli hanno ricevuto una numerazione autonoma all’interno di ciascuna busta.
Soggetti produttori
- Collegio dei notai di Bergamo metà sec. XIII - 1800 agosto 26
- Officio delle notificazioni di Bergamo 1639 -
Compilatori
- Schedatura: Schiavini Trezzi, Juanita (archivista)
- Revisione: Dilda, Giovanni Luca (archivista)
Link risorsa: http://lombardiarchivi.servizirl.it/fonds/160196