Congregazione di carità di Castelcovati ( 1862 - 1937 )
Tipologia: Ente
Tipologia ente: Ente di assistenza e beneficenza
Sede: Castelcovati
Codici identificativi
- MIDB0010B1 (PLAIN) [Verificato il 22/10/2013]
Profilo storico / Biografia
Il primo assetto della beneficenza nell’Italia unita fu disciplinato dalla legge 3 agosto 1862, sostanzialmente modulata su quella Rattazzi.
A Castelcovati, per effetto della nuova legge, il 26 marzo 1863 subentrò alla vecchia la nuova Congregazione, interamente eletta dal Consiglio comunale (1). Questo infatti, nella sua seduta del 10 gennaio, aveva nominato Gaetano Fabeni presidente della nuova Congregazione e Antonio Cadeo, Giovanni Zeni, sacerdoti, Lorenzo Fabeni, Giulio Montini, membri della stessa (2).
Statuto organico e regolamento amministrativo furono approvati rispettivamente il 6 febbraio 1881 e il 27 marzo 1883.
Ai sensi dello statuto la Congregazione era composta da un presidente e quattro membri, tutti nominati dal Consiglio comunale. Il presidente convocava, presiedeva, dirigeva la Congregazione e ne faceva eseguire le deliberazioni e la rappresentava presso le autorità e i privati. Teneva la corrispondenza d’ufficio, che doveva firmare e attendeva all’ordinato andamento degli affari. Vigilava sull’osservanza delle leggi e dei regolamenti, nonché sull’esatto adempimento delle disposizioni previste dai legati. Alla Congregazione spettava di deliberare sui bilanci preventivi e i conti consuntivi dell’opera pia. Nominava impiegati e salariati, che poteva anche revocare. Deliberava sulle modificazioni che eventualmente si fossero dovute apportare allo statuto o al regolamento, quindi su tutti gli atti inerenti l’amministrazione del patrimonio e l’erogazione delle rendite. La Congregazione si radunava ordinariamente due volte al mese, straordinariamente quando lo richiedesse un bisogno urgente. Le sedute erano legali con l’intervento della metà almeno dei membri oltre al presidente; le deliberazioni si ritenevano adottate quando riportavano la maggioranza dei voti (3).
Per il disbrigo della corrispondenza, della contabilità, per la tenuta del protocollo e dell’archivio, nonché per il sevizio d’ufficio la Congregazione si avvaleva dell’opera di un segretario; per le riscossioni e i pagamenti di un tesoriere.
Scopo dell’opera pia era quello di amministrare i beni dei poveri di cui era depositaria attenendosi alle prescrizioni dei testatori e nei modi stabiliti dal regolamento d’amministrazione (14.
Per avere accesso alla beneficenza i ricorrenti dovevano essere domiciliati nel comune e tenervi lodevole condotta; essere “realmente indigenti, cioè sforniti affatto di mezzi di sussistenza”. La Congregazione decideva se escludere o ammettere i ricorrenti e, se ammessi, li annotava nello “stato dei poveri” diviso in tre categorie: indisposti nella persona e inabili al lavoro, abili al lavoro ma impossibilitati a provvedere con esso al sostentamento proprio ed e a quello della famiglia, meritevoli di riguardo per speciali circostanze, sebbene non contemplati nelle categorie precedenti. Sulla base di questa ripartizione, che aggiornava ogni anno, decideva la qualità e l’entità del sussidio da accordare.
La Congregazione cercava di far fronte alle necessità dei bisognosi innanzitutto attraverso la distribuzione di elemosine in denaro, indumenti, biancheria da letto, quest’ultima per “favorire la separazione dei sessi”, ovvero impedire la promiscuità in famiglie di solito numerose.
L’assistenza in denaro consisteva, oltre che in elemosine straordinarie, nella corresponsione di sussidi di baliatico e di sussidi dotali. I primi erano accordati alle puerpere indigenti che presentavano il certificato medico comprovante l’impossibilità ad allattare per malattia o per assenza di secrezione lattea; i secondi erano rivolti alle nubende povere in forza delle prescrizioni testamentarie di Ferrante Nassino (13 marzo 1581).
Il soccorso in viveri era prestato soprattutto in sale che, in forza delle disposizioni testamentarie di Vincenzo Nassino (22 settembre 1690), veniva distribuito alle famiglie povere del Comune ogni anno, nel giorno del sabato santo. La distribuzione era effettuata dal gabellotto comunale dietro esibizione dei buoni rilasciati dalla Congregazione di carità che, attraverso uno dei suoi membri, assisteva alla distribuzione e annotava su apposito registro il nome degli indigenti ammessi alla distribuzione, l’indicazione del numero degli individui componenti la famiglia del ricorrente e il quantitativo di sale assegnato. Il soccorso in viveri era prestato anche in granaglie, dal momento che, come già s’è detto, la Congregazione di carità amministrava il locale Monte grano.
In ottemperanza di precise disposizioni testamentarie l’ente erogava altre particolari forme di assistenza. In forza del legato Ottavia Montini (2 aprile 1850) provvedeva alla somministrazione gratuita di medicinali agli ammalati poveri che non potevano essere trasportati o accettati negli ospedali di Chiari e di Brescia. L’amministrazione del legato era affidata alla famiglia Montini che alla fine di ogni anno doveva presentare alla Congregazione un elenco dei poveri beneficiati e la specifica dei medicinali quietanziata dal farmacista. Ancora, adempiendo alle prescrizioni testamentarie di Giovanni Battista Foschetti (1784 marzo 29), la Congregazione corrispondeva al Comune un canone annuo a vantaggio della pubblica istruzione. Infine, offriva ricovero gratuito ad un certo numero di vedove con le rispettive famiglie in due casamenti che erano stati legati a questo scopo alla Congregazione di carità dall’arciprete Paolo Codeferini da Riva (9 febbraio 1838) (5).
Lo statuto approvato il 6 febbraio 1881 venne modificato nel 1884. In quell’anno infatti, a seguito della soppressione del locale Monte grano e della conversione del suo patrimonio in quello della Congregazione di carità, quest’ultima si assumeva l’obbligo di erogare i redditi di quel patrimonio a favore dei pellagrosi poveri e degli ammalati poveri in genere del comune (6).
Intanto, con il tempo, il testo legislativo del 3 agosto 1862 si era dimostrato sempre più inadeguato a contenere gli inconvenienti e gli illeciti che caratterizzavano la gestione di numerosi istituti; così dalla seconda metà degli anni settanta numerose voci si erano levate a chiedere un maggiore coinvolgimento dello Stato nel settore.
Toccherà alla legge Crispi del 17 luglio 1890 sulle opere pie attuare il mutamento normativo. La legge tornò ad allargare considerevolmente le funzioni dell’autorità pubblica nella sfera caritativo-assistenziale e accrebbe le funzioni delle Congregazioni di carità che, già previste come enti amministratori dei beni destinati in maniera generica ai poveri, diventarono gli enti elemosinieri per eccellenza.
A Castelcovati la nuova Congregazione di carità eletta dal consiglio comunale a seguito dell’entrata in vigore della legge Crispi fu insediata il primo giugno 1891. Ai membri uscenti (Vincenzo Secchi, presidente, Faustino Bruschi, Giovanni Carmeli, Domizio Fabeni e Enrico Montini) subentrarono i nuovi eletti: Carolina Giugni, presidente, Faustino Bruschi, Giovanni Carmeli, Giovanni Lanfranchi e Lorenzo Fabeni, membri (7).
In ottemperanza alla legge del 1890 e alle successive disposizioni applicative statuto e regolamento vennero rinnovati nel 1897 (8).
Se le attribuzioni della commissione amministratrice rimasero sostanzialmente quelle previste nello statuto del 1881, la Congregazione, nel tentativo di rispondere meglio ai bisogni della povertà di Castelcovati allargava ulteriormente il suo campo d’azione. Infatti, con la sostanza lasciata nel 1894 da Quinto Capitanio, adempiendo alle disposizioni del testatore, aveva allestito un asilo d’infanzia per i bambini indigenti del paese di età compresa tra i tre e i sei anni. L’istituto, ufficialmente fondato nell’ottobre 1897, fu amministrato direttamente dalla Congregazione di carità fino a quando essa, in forza della legge del 3 giugno 1937, non venne soppressa e le sue competenze passarono al nuovo Ente comunale di assistenza.
Note
1. Verbale di seduta della Congregazione di carità, 26 marzo 1863, in ibidem.
2. Lettera indirizzata dal sindaco di Castelcovati alla Congregazione di carità, 9 marzo 1863, in ibidem.
3. Statuto organico della Congregazione di carità di Castelcovati approvato il 6 febbraio 1881, artt. 1 – 10, unità 6.
4. Regolamento d’amministrazione interna della Congregazione di carità di Castelcovati approvato dalla Deputazione provinciale il 27 marzo 1883, unità 7.
5. Ibidem
6. Verbale della Congregazione di carità del 15 giugno 1884, unità 6.
7. Verbale della Congregazione di carità del primo giugno 1891, unità 2.
8. Lo statuto, deliberato dalla Congregazione di carità del 19 febbraio 1897, fu approvato con regio decreto il 2 ottobre successivo. Il regolamento d’amministrazione venne deliberato dalla Congregazione il 31 ottobre dello stesso anno. Si vedano la copia conforme del regio decreto 2 ottobre 1897 e l’estratto del verbale della Congregazione di carità del 31 ottobre 1897.
Complessi archivistici
Profili istituzionali
Soggetti produttori
- (precede) Ente comunale di assistenza di Castelcovati - ECA 1937 - 1977
Fonti
- Gritti 1997 = G. Gritti, L'asilo Capitanio e le Piccole suore della Sacra Famiglia a Castelcovati (1897-1997), Brescia, Grafo, [1997]
- Onger 1993 = S. Onger, La città dolente. Povertà e assistenza a Brescia durante la Restaurazione, Milano, Franco Angeli, 1993
- Bressan 1985 = E. Bressan, Povertà ed assistenza in Lombardia in età napoleonica, Bari, CARIPLO - Laterza, 1985
- Della peruta 1991 = F. Della Peruta, Le Opere pie dall'Unità alla legge Crispi, "Il Risorgimento", 2-3, 1991
- Lepre 1998 = S. Lepre, Archivi diversi conservati negli archivi comunali, "Rivista storica del Lazio", VI/8, Roma, Gangemi editore, 1998
- Antoniella 1979 = A. Antoniella, L'archivio comunale postunitario. Contributo all'ordinamento degli archivi dei comuni, Firenze, Giunta regionale toscana e La Nuova Italia, 1979
Compilatori
- Debora Piroli (Archivista)
- Roberta Gallotti (Archivista)
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